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Tópicos (México)

Print version ISSN 0188-6649

Tópicos (México)  n.68 México Jan./Apr. 2024  Epub Mar 08, 2024

https://doi.org/10.21555/top.v680.2487 

Artículos

Augusto Del Noce e l’origine della valutazione critica del moderno. L’incontro con Niccolò Machiavelli

Augusto Del Noce and the Origin of the Critical Evaluation of Modernity: The Encounter with Niccolò Machiavelli

Filippo Salimbeni1 

1Universidad de los Andes, Chile. filo.salimbeni@hotmail.it


Riassunto.

Lo scopo di questo articolo consiste nel rilevare il peso del pensiero di Machiavelli, a volte tralasciato dagli studiosi di Del Noce, non solo nella ricostruzione della modernità delnociana a partire dal pensiero di Cartesio, ma anche nell’elaborazione di una proposta politica cristiana durante il secondo dopoguerra italiano, proposta che si presenterà proprio nei termini di superamento del dualismo cartesiano e recupero della dimensione storico-politica al pensiero religioso. Cercheremo di offrire innanzitutto un’esatta ricostruzione dei caratteri del dualismo cartesiano, inquadrandolo fin da subito all’interno di quello che Del Noce definisce come l’orizzonte condizionante rappresentato dall’eredità del pensiero di Machiavelli. Riteniamo che tale prospettiva possa dare nuova luce all’interpretazione del pensiero di Marx da parte di Del Noce, punto di partenza della sua intera riflessione. Analizzeremo nessi e differenze tra l’impostazione marxista e quella di Machiavelli, per poter infine concludere accennando ai compiti che il pensiero cristiano deve oggi assumere rispetto alla sfera politica.

Parole chiave: Augusto Del Noce; Niccolò Machiavelli; Cartesio; assolutismo politico; quietismo religioso; marxismo; cattolicesimo; liberalismo

Abstract.

The purpose of this article is to evaluate the weight of Machiavelli’s thought, sometimes forgotten by scholars working on Del Noce, not only in the reconstruction of Del Noce’s idea of modernity starting from the thought of Descartes, but also in the elaboration of a Christian political proposal during the Italian post-World War II period. This proposal will be presented precisely in the terms of overcoming Cartesian dualism and recovering the historical-political dimension of religious thought. Firstly, I offer a reconstruction of Cartesian dualism, framing it from the outset within what Del Noce defines as the conditioning horizon represented by the legacy of Machiavelli’s thought. This perspective sheds new light on Del Noce’s interpretation of Marx’s thought, the starting point of his entire reflection. I then analyse the links and differences between the Marxist approach and that of Machiavelli, in order to conclude by mentioning the tasks that Christian thought must assume today with respect to the political sphere.

Keywords: Augusto Del Noce; Niccolò Machiavelli; Descartes; political absolutism; religious quietism; Marxism; Catholicism; Liberalism

Introduzione

Il percorso che porta Del Noce, lungo le vie del pensiero moderno, alla figura di Machiavelli nasce, come sempre accade per il filosofo torinese, dal confronto con una realtà storica presente. Siamo nei primissimi anni del secondo dopoguerra e qualsiasi filosofia politica che voglia dirsi attuale deve fare i conti con quello che Del Noce chiama il problema del superamento del marxismo. Tuttavia le filosofie di stampo razionalista si trovano impossibilitate a un vero superamento proprio perché, secondo Del Noce, il marxismo rappresenterebbe il frutto ultimo del razionalismo moderno, iniziato con una certa interpretazione di Cartesio, proseguito attraverso il sistema hegeliano e culminato nella critica a quest’ultimo da parte di Marx. Ora la domanda filosoficamente essenziale si presenta a Del Noce come una questione di storia della filosofia: si tratta di capire se il razionalismo moderno culminante in Marx sia l’unica direzione sviluppatasi all’interno del pensiero moderno, o se non sia presente una seconda modernità che permetta oggi di poter resistere alla critica della prassi marxista diretta contro ogni filosofia di tipo “contemplativo”. In tale prospettiva inizia il lavoro delnociano consistente nel riportare alla luce una linea di pensiero rimasta nascosta e che Del Noce identificherà come ontologismo moderno, un percorso alternativo alla prima modernità che partendo da una diversa interpretazione di Cartesio viene continuata da Malebranche, Vico, Gioberti e Rosmini.1

L’inizio della valutazione critica del moderno nasce per Del Noce dal confronto con la filosofia di Cartesio e con la cesura tra pensiero della trascendenza e sviluppo storico che quest’ultima genera. Si tratta di un carattere distintivo di una certa modernità che rompe la precedente unità medioevale attraverso la dissociazione tra spirituale e storico, e che un pensatore come Maritain, dal quale Del Noce è largamente influenzato, definisce suggestivamente come disincarnazione dello spirituale. Secondo il filosofo francese, l’età barocca si configura come “un’età caratterizzata in generale dal dualismo, dallo sdoppiamento. Il primato dell’ordine spirituale continua ad essere affermato in teoria, e praticamente è il primato del politico che si afferma ovunque” (Maritain, 1964, p. 98).

Non si tratta però per Del Noce di augurarsi un ritorno a un’unità ormai passata e non più riproducibile come quella medievale, ma piuttosto di superare l’opposizione che sviluppata all’estreme conseguenze porterebbe a quel quietismo religioso da un lato e all’assolutismo politico dall’altro, che hanno caratterizzato il Seicento europeo. Il ritiro della spiritualità dall’ordine temporale e la rinuncia machiavellica di una direzione etica della storia riteniamo dunque siano termini dello stesso problema. Ci ritroviamo all’inizio di quella crisi della coscienza europea, prendendo a prestito il titolo dell’opera del Hazard (2005), prodotta dal dualismo o sdoppiamento tra ordine spirituale e dimensione storico-politica.

La tesi delnociana appare in questo contesto decisiva: Cartesio non ha prodotto questo dualismo ma è stato il primo a subirlo senza riuscire ad uscirne. In altre parole, la filosofia di Cartesio si costituisce all’interno di un orizzonte condizionante non problematizzato prodotto del pensiero di Machiavelli e dalle conseguenze da esso scaturite. “Ogni operazione del pensiero di Cartesio presuppone già, come atteggiamento vissuto, quel separatismo (inteso come volontà di garantire al soggetto un’esistenza a parte) che si presenta poi come conclusione” (Del Noce, 2019, p. 551).

L’orizzonte condizionante della filosofia di Cartesio

Jacques Maritain (1977), del quale abbiamo detto come Del Noce sia assiduo lettore, in un breve quanto interessante studio del 1930 cerca di inquadrare il fenomeno del dualismo cartesiano e le sue conseguenze sulla storia della politica e della cultura europea. Come è noto, nella filosofia cartesiana avviene uno sdoppiamento dell’umano, tra spirito puro ed estensione geometrica. Maritain trasferisce questa concezione all’interno del mondo politico, operazione in realtà non esplicitamente presente in Cartesio, osservando la nascita di:

[…] [un] meccanismo politico ed economico analogo alla macchina del corpo nella filosofia cartesiana, meccanismo nel quale non regneranno che leggi naturali dello stesso tipo di quelle della meccanica o della chimica. E a questo meccanismo che esisterà e varrà per se stesso, con le sue proprie necessità puramente materiali, non umane, voi potrete, se siete idealisti e se stimate i valori morali, aggiungere una sovrastruttura morale, l’anima spirituale della macchina cartesiana (Maritain, 1977, p. 29).

La concezione che traspare corrisponde, a nostro giudizio, proprio al mancato conferimento di un fine umano all’azione politica, che parallelamente caratterizza il sistema di Machiavelli. L’importanza di una direzione etica e dunque di un fine umano della sfera politica risulta al contrario essere il concetto centrale in Antonio Rosmini,2 l’autore dell’imponente Teosofia (2011) e altro punto di riferimento fondamentale per Del Noce.3 Particolarmente interessante risulta su questo punto il confronto tra l’impostazione del machiavellismo e il testo del 1858 di Rosmini dal titolo La società e il suo fine (ora in Rosmini, 1985). Nel libro secondo di questa opera il pensatore roveretano spiega come la politica debba preoccuparsi della piena realizzazione umana senza ridurre l’uomo a pura esteriorità dimenticandone l’essere spirituale e sottomettendolo a quelle che Maritain definiva, nel passo citato, “necessità puramente materiali” (Maritain, 1977, p. 29).

Non solo Rosmini individua nello sdoppiamento della persona umana il grande problema della politica moderna ma, compiendo un passo in avanti, invita anche a gerarchizzare ciò che nell’individuo è maggiormente importante, cioè ciò che lo rende propriamente persona umana. “La parte corporea ed esteriore della società si deve considerare come il mezzo di perfezionare la parte interiore e spirituale, nella quale esiste propriamente l’uomo, e risiede il diletto e la perfezione di cui egli è suscettibile: in questa dunque deve consistere anche il fine ultimo di ogni società” (Rosmini, 1985, p. 136). Il discorso di Rosmini prosegue dunque dimostrando come ogni politica debba perseguire un proprio fine, possiamo dire ciò che è bene per sé e che in Machiavelli potrebbe configurarsi come l’aumento o conservazione del potere. Tuttavia, secondo Rosmini la natura del fine della società non può essere che un bene vero e umano. Vero, cioè riconosciuto come corrispondente alla realizzazione della persona; umano, cioè che abbraccia nel suo insieme l’uomo senza sdoppiamenti o censure.

Le impostazioni totalmente antitetiche assunte da Machiavelli prima e Rosmini poi non possono che portare a conclusioni diametralmente opposte. Mentre Machiavelli dichiara che un principe, essendo il suo fine ultimo la conservazione del potere, “è costretto a operare contro la lealtà, contro la carità, contro l›umanità” (Machiavelli, 2012, p. 149), Rosmini al contrario afferma come il vero bene umano consista proprio in “tutti que’ beni che possono stare insieme con la virtù” (Rosmini, 1985, p. 136). Machiavelli dunque attribuisce alla dimensione politica fini specifici e materiali che non investono l’uomo nella sua totalità, come possono essere la conservazione del potere e il successo dello stato. “Fine del principe è vincere e conservare il governo dello stato, per cui ogni mezzo è lecito, e, se servirà allo scopo, sarà da tutti lodato, perché il popolo bada alle apparenze e al risultato” (Machiavelli, 2012, p. 149).

All’interno di questa prospettiva, grazie al breve accenno al pensiero di Rosmini, pensiamo siano maggiormente comprensibili le ragioni della prima definizione data da Del Noce a Machiavelli come principale interprete “dell’antitesi di cristianesimo e Ragion di Stato” (Del Noce, 2019, p. 434), dove il cristianesimo si pone a difesa della spiritualità umana e la ragion di stato si configura come mezzo per la conservazione del potere, indipendente da ogni valutazione morale. Il pensiero di Cartesio si costituisce all’interno di questa separazione, di questo orizzonte condizionante, portando il pensatore francese a concepire la realizzazione dell’individuo spirituale come totalmente esterna e indipendente rispetto alla comunità sociale. L’uomo si realizza individualmente in quanto essere spirituale e libero, in antitesi appunto alla realtà sociale e politica. “Alla separazione machiavellica della politica dalle altre forme della vita spirituale fa riscontro la separazione cartesiana operata invece a partire dalla vita spirituale” (Del Noce, 2019, p. 544).

L’esperienza della libertà nel separatismo cartesiano

Il separatismo di Cartesio nasce quindi secondo Del Noce nell’orizzonte condizionante del machiavellismo e in esso si innesta l’esperienza spirituale della libertà, centrale nell’interpretazione delnociana del filosofo francese.4 Si tratta però di un’esperienza rispetto alla quale le circostanze esterne non hanno nulla da aggiungere e che conferma il separatismo cartesiano. “In quanto nell’esperienza della libertà io mi realizzo come io acosmico, questa esperienza non raggiunge il campo politico; il filosofo non ha nulla da dire in politica perché la mia esistenza nel mondo si aggiunge puramente alla mia natura autentica” (Del Noce, 2019, p. 558). L’essenza del pensiero cartesiano consiste secondo Del Noce nel porsi come filosofia della libertà, cioè nel riconoscere la libertà come centro dell’uomo e come aspetto ineliminabile che vivifica l’intero sistema.5 Tuttavia, nella lettura delnociana la libertà cartesiana nasce in una risposta inconsapevole al clima culturale segnato dal machiavellismo, come separazione della politica dalla spiritualità umana. La libertà che viene descritta da Cartesio è vista come esercizio ascetico, cioè come presa di coscienza che avviene nella misura in cui ci si differenzia e si prende le distanze dalla realtà concreta. Del Noce parla in questo caso di “potere di negatività; non cioè come libertà di porre - libertà considerata in rapporto alla produzione di una forma nuova che essa aggiunga alla realtà data - ma come libertà di distinguermi, di riconoscermi cioè come una realtà irriducibile” (Del Noce, 2019, p. 554).

La politica appare dunque non necessaria in Cartesio, essendo la natura umana realizzabile pienamente a prescindere da essa. Il primo compito richiesto alla dimensione politica in una concezione simile sarà indubbiamente l’ordine e la stabilità, garantite in massima misura dalle forme dell’assolutismo politico. Si tratta tuttavia di un consenso concesso da Cartesio all’assolutismo attraverso “ragioni che non sono assolutistiche, ma conservatrici, con le conseguenze importantissime che ne derivano. Perché al conservatorismo è essenziale la distinzione di politica e di vita spirituale” (Del Noce, 2019, p. 567). Risulta quindi chiaro perché Cartesio è portato da una parte “a configurarsi l’ordine politico come ordine assolutistico, per altro verso egli lo sconsacra col togliergli la possibilità di una sua fondazione razionale o religiosa; col toglierli, insomma, quelle giustificazioni per cui il suddito di esso poteva sentirsi parte di un organismo morale” (Del Noce, 2019, p. 567).

Su questo punto la lettura cartesiana di Del Noce possiede una differenza essenziale con l’interpretazione tradizionale del pensiero politico in Cartesio. Secondo quest’ultima linea di pensiero l’indifferenza di Cartesio al mondo politico si può configurare come una sua mancanza o dimenticanza, rendendo la sua filosofia in qualche modo incompleta proprio per non aver voluto applicare il suo metodo al mondo storico-politico. In Del Noce troviamo una prospettiva del tutto differente: Cartesio subisce l’orizzonte condizionante del machiavellismo, come separazione tra fine politico e fine umano.6 Non solo ma è proprio “la presenza di questo orizzonte non direttamente problematizzato che condiziona per un verso la formazione della filosofia cartesiana e che rende impossibile per l’altro il suo costituirsi come filosofia completa. La filosofia di Cartesio non può estendersi al mondo sociale e politico perché sorge dissociandosi da esso” (Del Noce, 2019, p. 571). L’intuizione di Del Noce è quella di cogliere il motivo del diffondersi dell’interpretazione tradizionale del pensiero di Cartesio come conseguenza di una mancata comprensione dell’influenza del machiavellismo sull’ambiente cartesiano. L’equivoco fondamentale, infatti, secondo il nostro autore “consiste nell’avere inteso l’atteggiamento condizionante come intenzionale” (Del Noce, 2019, p. 545) in Cartesio, mentre si tratterebbe di un dato condizionante ma non problematizzato, ovvero il pensiero cartesiano subirebbe questa forma di dualismo più che instaurarla.

È chiaro quale importanza avrebbe, se dimostrata, questa tesi per quel che riguarda la valutazione e l›interpretazione dell›inizio cartesiano della filosofia moderna. Perché questa dissociazione, non potendo venir riferita alla conclusione di una dimostrazione, e neppure a un atteggiamento intenzionale, non si lascia interpretare che come situazione storica che la filosofia di Cartesio subisce, come un dato entro cui essa si costituisce, non come una semplice occasione esterna del suo formarsi, e che condiziona l’ordine dei suoi problemi (Del Noce, 2019, p. 542).

In sintesi, dalla metafisica cartesiana non è possibile dedurre, come lo stesso Del Noce riconosce, le posizioni politiche di Cartesio; e di conseguenza nemmeno sarà possibile applicare il metodo cartesiano all’ambito politico come invece si è adoperato a fare gran parte del razionalismo moderno.

Inizia da questo punto fondamentale a crearsi lo spazio della seconda modernità delnociana che prende forza dalle crepe dello sviluppo razionalistico del pensiero presentato come dato incontrovertibile. È possibile comprendere l’origine di questa alternativa al razionalismo solo attribuendo il giusto peso del machiavellismo, seppur non spesso citato, nella ricostruzione delnociana della filosofia moderna. Detto altrimenti, e con le stesse parole di Del Noce, la scoperta dell’orizzonte non problematizzato di Cartesio “porterebbe a vedere un nesso sostanziale tra l’inizio cartesiano della filosofia moderna e il machiavellismo: nel senso che la rottura cartesiana con il pensiero dell’umanesimo supporrebbe la rottura machiavelliana come momento antecedente e condizionante” (Del Noce, 2019, p. 542).

La crisi del Seicento

Occorre ora chiarire in che modo Machiavelli e Cartesio siano venuti a contatto. L’influenza di Machiavelli su Cartesio non è certamente originata da una lettura o attenzione diretta del secondo verso il primo; nasce piuttosto del successo storico avuto dal machiavellismo del Seicento nei confronti del tentativo di restaurazione cattolica dell’unità spirituale pre-riforma. Nella prospettiva della restaurazione il primo passo per ritrovare l’unità spirituale perduta viene considerato quello politico. Tale equivoco non può che portare alla sconfitta di un simile tentativo perché invece di “ordinare la politica alla religione la politica dell’assolutismo non ha potuto agire se non riducendo la religione a strumento politico. La dissociazione della vita spirituale da un mondo politico che appare senza verità è il corrispettivo nel singolo di questa vittoria del machiavellismo” (Del Noce, 2019, p. 543). Possiamo osservare che secondo un processo del tutto particolare il temporale viene a essere dominato interamente dal pensiero di Machiavelli, ma tale primato del politico avviene proprio nel tentativo di ristabilire il primato dello spirituale. Tale contraddizione, o eterogenesi dei fini,7 era stata messa in risalto dallo stesso Del Noce fin dal 1946,8 fino a fare dell’età barocca un modello negativo rispetto ai rapporti tra religione e politica. “La lezione dell’età barocca non è persuasiva a questo riguardo? Lo scopo espresso della politica dell’assolutismo fu la ricostruzione dell’unità religiosa; il suo risultato la considerazione della religione in funzione dell’unità nazionale” (Del Noce, 2001, p. 462). Al singolo che ancora volesse distinguersi come realtà spirituale irriducibile al contesto storico non rimane allora che chiudersi in se stesso, dichiarare persa la lotta per la storia e vivere in una obbligata condizione di solipsismo. Il solipsismo cartesiano è dunque la conseguenza immediata della vittoria di Machiavelli rispetto all’assolutismo politico del Seicento.

La condizione nella quale sono costretti il filosofo e la spiritualità nell’età dell’assolutismo viene letta da Del Noce paragonandola a quella vissuta in prima persona durante il ventennio fascista. Tale dato risulta particolarmente importante perché non solo ci permette di interpretare il pensiero di Del Noce come conseguenza del confronto con una realtà presente, ma anche perché conferma come la posizione del quietismo religioso rispetto al mondo della storia è atteggiamento che non appartiene esclusivamente all’età barocca, ma che ritorna nella storia e aiuta, ad esempio, a descrivere la posizione di molti cattolici durante il ventennio fascista. Il fascismo veniva infatti giudicato come il minor male in quel momento in Italia e l’opposizione che veniva esercitata rispetto al regime era quella di una resistenza di tipo esclusivamente morale, che in Del Noce era alimentata dalla lettura tra gli altri di Maritain e Aldo Capitini.9

Del Noce parla in questo contesto di clericalismo machiavellico per definire la posizione di quei cattolici che vedevano nel fascismo un temporaneo strumento per sconfiggere forze non cristiane. Apparteneva a tale posizione anche la speranza che, non avendo il fascismo alcun contenuto positivo, esso si sarebbe dissolto nella sua funzione negatrice del socialismo. Si trattava di uno scontro tra forze non cristiane davanti al quale il cattolico assisteva inerme nella speranza di una restaurazione dei sistemi ierocratici. La critica di Del Noce a questa posizione è estremamente decisa portando il nostro filosofo a concludere che “per il clericalismo la difesa della libertà in regime non cattolico è difesa non già del principio della libertà, ma dell’esistenza della Chiesa” (Del Noce, 2011, pp. 224-225).

La crisi dell’età barocca è dunque simile per certi aspetti alla crisi davanti alla quale si trova Del Noce durante il fascismo e che occorre superare per riaccendere l’impegno politico dei cattolici e riconoscere la politicità del pensiero filosofico. A tale problema, centrale nella ricostruzione dell’itinerario di pensiero di Del Noce, offrono un grande apporto le osservazioni di Massimo Borghesi:

Del Noce, attraverso la critica dell’età cartesiana sta andando alla genesi remota della dissociazione di cultura e politica del ventennio. Se il dualismo dell’era fascista era la conseguenza di una cultura incapace di farsi mondo, donde l’irrazionalismo dell’agire pratico-politico, allo stesso modo il dualismo dell’età barocca vede la dicotomia tra ragione e storia (Borghesi, 2011, p. 108).

Ed è proprio nella ricerca di una soluzione a questa dicotomia che Del Noce incontrerà Giambattista Vico, uno degli autori a lui più cari e che rappresenta un passo fondamentale all’interno di quella seconda modernità di cui abbiamo parlato. Il pensiero di Vico (2008) è interpretato come la critica più completa e allo stesso tempo definitiva alla cosiddetta anistoricità cartesiana, a quel ritiro dello spirituale dalla storia. Secondo Del Noce, Vico ha il grande merito di aver intuito “come il problema essenziale per una filosofia cristiana sia togliere all’irreligione la storia e come la lotta contro Machiavelli debba combinarsi con quella contro l’inadeguato spiritualismo cristiano” (Del Noce, 2019, p. 461).

Morale e politica nel confronto con Machiavelli e Marx

Togliere all’irreligione la storia è precisamente la prospettiva dalla quale Del Noce era partito nel suo confronto con il marxismo10 e che ora riscopriva nella critica di Vico al machiavellismo e al solipsismo cartesiano. Desideriamo dunque proseguire il nostro lavoro mostrando come il confronto con il machiavellismo sia decisivo in Del Noce non solo per l’interpretazione del mondo moderno ma anche in quello che abbiamo chiamato il superamento del marxismo.

Rispetto al dialogo tra Machiavelli e Marx, Del Noce accoglie la tesi della letteratura critica che individua la differenza sostanziale tra i due autori nel rapporto tra etica e politica. Se nell’autore del Principe l’etica appare del tutto separata dalla politica, la concezione marxista segna invece il momento dell’inclusione della morale nella politica. Paradigmatica in questo senso la posizione di Lenin nella quale è morale ciò che partecipa agli scopi della rivoluzione. Da questo punto di vista risulta bloccata la via che vorrebbe spiegare il fenomeno del marxismo o del totalitarismo in termini di machiavellismo.

Tuttavia, l’indagine di Del Noce scava maggiormente in profondità ricercando quali siano le ragioni della differenza tra Machiavelli e Marx. Le due prospettive si presentano così differenti a motivo della diversa concezione antropologica che ne è alla base. Mentre Machiavelli ragiona all’interno dei confini dell’antropologia cristiana, Marx fuoriesce da tale schema attraverso la visione dell’uomo nuovo marxista. Si tratta dell’uomo sociale, dove la natura umana non è più essenza ma esistenza forgiata dai rapporti sociali e dalle circostanze materiali della vita.11

Ora pur partendo da visioni diverse dell’uomo, sia marxismo che machiavellismo accettano di buon grado quella che possiamo definire come durezza o violenza dell’azione politica. In Machiavelli la necessità di azioni particolarmente violente avviene sempre per una sorta di necessità pratica del principe, cioè la conservazione del potere in ogni tipo di circostanza. In questo senso, nel caso del filosofo fiorentino, Del Noce riconosce “la politica, e non l’etica della durezza” (Del Noce, 1964, p. 44). Significativo a modi di esempio il noto passaggio nel quale Machiavelli, in maniera apparentemente ragionevole, suggerisce al nuovo governante l’estinzione della dinastia del principe precedente per non correre eventuali rischi nel mantenimento del potere.12 Nel marxismo il metodo della violenza è ugualmente presente con l’aggravante però di poterne fornire anche una giustificazione morale. Se la morale è ciò che serve al realizzarsi della rivoluzione, si capisce come il problema non possa essere portato sui mezzi utilizzati per conseguire tale scopo. Il problema dei mezzi è proprio del metodo opposto al marxismo, ossia quello della persuasione.13 Nel metodo della violenza, invece, l’uomo non ha difese da opporre al cambiamento della società, essendo egli stesso determinato proprio da quella società alla quale vorrebbe resistere.

La differenza dei due metodi, della persuasione e della violenza, è per Del Noce differenza tra due visioni antropologiche contrastanti e non comunicanti tra loro: l’antropologia platonica cristiana e quella marxista. Non esiste sviluppo lineare neppure tra i sistemi di Machiavelli e di Marx secondo Del Noce, rimanendo sempre estremamente critico della possibilità di rintracciare una continuità in questo senso tra machiavellismo e marxismo. “Di qui si vede l’equivoco della notissima caratteristica di Marx ‘Machiavelli del proletariato’; il machiavellismo separa morale da politica, proprio perché in esso permane l’antropologia cristiana; viceversa Marx riconcilia morale e politica proprio per la sua negazione di questa antropologia” (Del Noce, 1964, p. 43). Machiavelli pur avendo avuto come orizzonte l’antropologia cristiana, ne ha tuttavia escluso le implicazioni nell’ambito politico arrivando così allo stesso metodo del marxismo, la violenza, ma attraverso un cammino del tutto differente. Il metodo della persuasione invece, strada che Del Noce dichiara ancora percorribile a differenza di quella che vorrebbe un incontro tra cristianesimo e marxismo, richiede come requisiti non solo una certa antropologia ma anche il riconoscimento, scoperto per contrasto dallo studio di Machiavelli, delle influenze antropologiche e morali che qualsiasi posizione politica subisce.

Leggiamo riassumendo come Del Noce sintetizzi i due possibili metodi già a partire del 1946.

La categoria della persuasione è strettamente legata all’antropologia platonico-cristiana; alla tesi della presenza in ogni uomo dell’idea di Dio come fondamento della sua trascendenza alla storia della sua libertà; onde il cangiamento della società si prospetterà come conseguenza del cangiamento dell’uomo (della sua conversione, del risveglio in lui dell’idea di Dio). Ma nella posizione marxista non esiste un uomo essenziale prima dell’uomo esistente; dunque il cangiamento dell’uomo sarà conseguenza del cangiamento della società (Del Noce, 2001, p. 339).

Abbiamo dunque mostrato come Machiavelli e Marx non siano per Del Noce in una stessa linea di sviluppo e in questo modo ci prepariamo ad affrontare la diretta conseguenza di tale impostazione, ovvero la definizione dell’avvento dei totalitarismi non come il ritorno del machiavellismo, ma come la sua inevitabile fine.

Fin dal 1943 negli scritti di Del Noce sono presenti diversi richiami al machiavellismo che lo legano in particolare al quietismo cartesiano, come abbiamo visto nella prima parte del nostro lavoro. Il parallelismo tra Machiavelli e Marx, anche se in secondo piano, viene però identificato da Del Noce già in un articolo del 1946.

Arriverei a dire che il machiavellismo si rivela incapace di spiegare la realtà politica di oggi, dopo aver servito come criterio di interpretazione per i passati secoli dell’età moderna. Invece che di “ritorno a Machiavelli” o di verità di Machiavelli come scopritore della categoria eterna della politica, sarebbe opportuno dire “fine di Machiavelli”, e spiegare machiavellicamente la politica totalitaria è chiudersi a intenderla (Del Noce, 2001, p. 257).

Secondo Del Noce il fenomeno totalitario non si ferma all’esclusione della morale dalla sfera politica ma avanza la pretesa della determinazione della morale a partire dalla politica. Ma in che termini è resa possibile una simile pretesa? Attraverso l’elevazione della politica a religione, cioè come forma inglobante ogni ambito dell’individuo, compresa la sfera spirituale o morale. Si tratta di una pretesa che segna la novità irriducibile dei totalitarismi rispetto al machiavellismo. Tommaso Dell’Era, nella sua indagine sugli scritti giovanili di Del Noce, ha ben colto la caratteristica nuova del totalitarismo secondo Del Noce. “Totalitario è quel governo che costituisce la realizzazione politica di una concezione antropologica che include la dimensione religiosa dell’uomo entro quella politica e che istituisce un regime conseguente di rapporti tra gli individui e tra autorità e libertà” (Dell’Era, 2000, p. 291). Interessa sottolineare come i tratti del totalitarismo, fenomeno centrale nella filosofia politica delnociana, siano apparsi ancora più chiaramente a Del Noce grazie alla distinzione con il machiavellismo e i suoi sviluppi. Il valore politico diventa nel totalitarismo non solo machiavellicamente indipendente e ingiudicabile dagli altri valori ma “il valore ultimo e la definitiva istanza rispetto a cui tutti gli altri valori devono venir giudicati” (Del Noce, 2001, p. 257).

Cercando di riassumere possiamo osservare che Del Noce incontra tre differenti rapporti tra religione e politica, tutti dipendenti dai diversi contesti nei quali si sviluppano. Innanzitutto il sistema ierocratico medioevale, dove la politica è subordinata alla religione e il contesto è quello di un’unità spirituale non ancora problematizzata; secondariamente, il machiavellismo, rappresentante della separazione di religione e politica, il cui contesto è la permanenza di un’antropologia cristiana che possiamo definire come depotenziata, cioè impossibilitata a influire nell’ambito politico e storico; infine troviamo il modello marxista e successivamente totalitario dove la politica assorbe e giudica l’intera natura umana. Il contesto è necessariamente quello di una nuova antropologia.

Come è evidente, nessuno di questi tre modelli appena descritti risponde alle convinzioni delnociane, ma proprio a partire da essi il nostro filosofo inizierà a sviluppare dai primi anni del dopoguerra una personale posizione, una quarta via, nel tentativo di recuperare il terreno della storia e della politica alla filosofia. In sede di conclusione del nostro lavoro cercheremo allora semplicemente di accennare alla proposta di Del Noce legandola ai temi specifici appena trattati e ben sapendo che richiederebbe uno studio molto più ampio e che inizia a comparire nella letteratura critica, grazie anche alla pubblicazione di testi inediti della produzione delnociana.14

Principi di politica cristiana

Nel cercare di delineare i primi lineamenti della proposta politica di Del Noce ci basiamo su un testo dattiloscritto, dal suggestivo titolo “Principi di politica cristiana” composto presumibilmente tra il 1944 e i primi mesi del 1945, e apparso per la prima volta nella raccolta di scritti politici curata da Tommaso Dell’Era alla quale abbiamo già accennato.15 Il testo inizia con la seguente affermazione. “La necessità dell’impegno politico del cristiano risulta dal fatto che nessuna forma di attività umana dev’essere straniata dalla valutazione religiosa” (Del Noce, 2001, p. 219). Opposizione più decisa al machiavellismo è difficile incontrare.

Esiste un grado di responsabilità, per il ripiegamento su di sé della posizione cristiana, innanzitutto agli stessi cristiani che hanno spesso ceduto alla riduzione dei valori spirituali del cristianesimo come difesa di interesse parziali ed esclusivamente politici. Da una simile confusione è inevitabile successivamente l’incapacità di rispondere alla critica di una presunta inattualità delle posizioni cristiane, perché legate a un mondo ormai oggi scomparso. Al fondo di tale giudizio però risiede ancora una volta il separatismo tra religione e politica: la prima interessa solo una parte ben delimitata della vita del singolo e nulla ha da dire nella valutazione di altri ambiti. Non solo, ma la vita autenticamente religiosa inizia come abbandono dal mondo, lasciando campo libero al “realismo d’origine machiavellica che straniava la sfera politica come quella che ha leggi proprie indipendenti” (Del Noce, 2001, p. 221). Del Noce procede dunque all’esposizione di quello che sarebbe un giusto rapporto tra religione e politica e che rappresenterebbe la condizione necessaria per un rinnovato impegno politico del cristiano. Attività religiosa e politica devono essere tra loro in un “rapporto di compatibilità interna”:

[…] le verità di ordine politico devono essere suscettibili di organizzarsi con le verità religiose, in modo che l’uomo religioso possa sentire il compimento del suo dovere politico come richiesto dalla sua vita religiosa. A differenza della compatibilità esterna del separatismo; per cui trattandosi di attività separate non ha senso parlare di impegno politico del cristiano (Del Noce, 2001, p. 221).

Se da una parte Del Noce ha ribadito fino a questo punto la necessità di una valutazione religiosa anche di quegli aspetti della vita terrena che riguardano l’ambito politico come altri, occorre sempre ricordare che con la stessa decisione rifiuta quello che rappresenterebbe l’opposto del separatismo, ovvero la confessionalità. Si tratta della pretesa, presente ancora oggi così come quella del separatismo, di voler dedurre da verità religiose eterne l’ordine e il sistema politico. L’attività politica deve poter essere valutata dalla propria posizione religiosa o spirituale, ma tuttavia l’oggetto della politica, il bene terreno, possiede una sua specificità del tutto distinta da quella dell’oggetto della religione. Tuttavia, la questione centrale sollevata dal modello della confessionalità, ma evitata da Machiavelli, è lo statuto e funzione delle verità trascendenti, religiose o eterne. Problematica, quest’ultima, trattata da Del Noce già in questo scritto come in altri testi giovanili, e con la quale desideriamo concludere il nostro lavoro, rappresentando essa la base dello sviluppo delle posizioni politiche del nostro filosofo nella maturità.

La confessionalità, così come il separatismo, concepiscono l’eternità delle verità trascendenti come “un’eternità di morte, contro la storia” (Del Noce, p. 221). Proviamo a interpretare questa immagine usata da Del Noce. La verità eterna presa in se stessa, nella sua essenza, è necessariamente incorruttibile e non soggetta allo sviluppo storico. Tuttavia, diverso è il problema se ci poniamo nella prospettiva del soggetto umano e prestiamo attenzione al grado di comprensione o profondità che l’uomo può raggiungere di tale verità. Tale comprensione è incorruttibile o soffre dimenticanze e retrocessi? Non solo: è data una volta per tutte o è soggetta allo sviluppo storico dell’uomo e della società? Crediamo che Del Noce abbia voluto porre un simile interrogativo nella ripresa del rapporto tra verità religiose o trascendenti e impegno politico o sociale. Quando parla di verità eterne, Del Noce le descrive infatti come verità “eternamente ritrovate a partire dal problema filosofico politico concreto che è presentato in forma sempre storica e irripetibile, come situazione individuale in cui si trova impegnato l’uomo” (Del Noce, 2001, p. 222).

Una concezione della verità come incessante approfondimento del soggetto e non come staticità in formule è una delle strade che permette al nostro autore di riconferire valore all’impegno politico del cristiano. Alla modernità occorre riconoscere il merito, secondo Del Noce, di aver posto l’accento proprio sul soggetto, cioè sul problema storico e personale dell’adesione dell’individuo alla verità, partendo dalle circostanze concrete. In tal modo oggi nessuna posizione religiosa o spirituale all’interno della società può ritenersi non impegnata in questo lavoro di approfondimento della verità, che richiede sempre, accogliendo la lezione vichiana, forme nuove di realizzazione storica. Il compito del cristiano è certamente di difesa della propria tradizione, ma attraverso l’accettazione della sfida della modernità, cioè, passando dal problema della libertà di adesione alla verità. “Si tratta di una fedeltà alla tradizione, ma di una fedeltà che deve essere intesa come fedeltà creatrice, creatrice di soluzioni nuove alla problematica sempre nuova che l’esperienza offre” (Del Noce, 2001, p. 261).

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1 Un’esposizione dettagliata di questa seconda modernità e quindi della sua giustificazione ci porterebbe troppo lontani dal nostro tema e la sua complessità non può essere affrontata in questa sede. Segnaliamo un’importante raccolta di articoli: Del Noce (1992). Rimandiamo inoltre alla precisa ricostruzione operata da Massimo Borghesi (2011) nel suo ultimo testo su Del Noce.

2 Per un’introduzione al pensiero di Rosmini, cfr. Piovani (1997), che lo stesso Del Noce ha conosciuto e apprezzato giudicando la sua introduzione uno dei testi più significativi nel panorama filosofico italiano. Rispetto al tema del fine della società richiamiamo il testo di Campanini (1988).

3 Segnaliamo in particolare le due lezioni tenute da Del Noce sulla filosofia di Antonio Rosmini nel 1981-1982 presso la facoltà di scienze politiche dell’Università di Roma “La Sapienza”, pubblicate in Del Noce (2016, 149-169).

4 Nel ricostruire i passaggi decisivi nella formazione della valutazione critica del moderno da parte di Del Noce ci baseremo sul testo di riferimento dell’interpretazione delnociana del pensiero di Cartesio: Del Noce (2019). In particolare, in questo testo, pubblicato in prima edizione nel 1965, ci concentreremo sul capitolo V, fondamentale a nostro giudizio nella ricostruzione della modernità delnociana, dal titolo significativo di “Cartesio e la Politica (il senso dell’anistoricità cartesiana)”. Per ulteriori approfondimenti, cfr. Paris (2008).

5 In questo l’influenza maggiore che Del Noce ha avuto nei suoi studi cartesiani è indubbiamente da attribuire al fortunatissimo libro di Laporte (2016).

6 Abbiamo già accennato a questo aspetto rispetto al confronto con Antonio Rosmini.

7 Il principio dell’eterogenesi dei fini è fondamentale nella lettura delnociana della storia, ed è in particolar modo applicato all’interpretazione della rivoluzione comunista e delle sue conseguenze, definita da Del Noce “il più straordinario processo di eterogenesi dei fini che mai si sia avuto nella storia” (2007, p. 57). Rimandiamo per un maggior approfondimento a Del Noce (2019).

8 Si tratta di un testo dattiloscritto che si compone di due versioni. La prima dal titolo Civiltà liberale e cattolicesimo e la seconda Cattolici e liberali, dalla quale è tratta la nostra citazione. Questo testo, particolarmente significativo per la comprensione della composizione del pensiero delnociano, è stato pubblicato per la prima volta nel 2001 in Del Noce (2001). Nel brevissimo articolo, Del Noce porta l’attenzione su un aspetto importante della spiritualità moderna che si differenzia da quella medioevale. Si tratta della problematizzazione dell’atto di adesione del singolo alla verità spirituale. Tale adesione non può avvenire in forma meccanica come ricezione passiva di una tradizione ma allo stesso tempo necessita della piena libertà del singolo non tollerando alcuna imposizione. Una verità imposta con la forza decadrebbe nello stesso istante a strumento politico, così come è accaduto con l’assolutismo politico seicentesco. Osserviamo fin da ora, rinviando ugualmente all’ultima parte del nostro lavoro, come lo studio delnociano della modernità non risponda a un interesse puramente accademico ma sia premessa necessaria alla configurazione di una proposta culturale e politica nei primi anni del secondo dopoguerra. La problematizzazione della fede rappresenta un’opportunità di approfondimento per il pensiero cattolico e non semplicemente un segno della crisi. Lungo questa strada occorre riscoprire il valore centrale della libertà, sia da parte cattolica che liberale, ritornando al titolo dell’articolo. Significativa in questo senso la chiusura di Del Noce al suo breve testo. “Allo stesso modo che penso necessaria una consapevolezza cattolica dell’implicanza liberale, penso pure non sia possibile un rifiorire del liberalismo senza una presa di coscienza del suo fondamento cristiano” (Del Noce, 2001, p. 463).

9 L’incontro di Del Noce con Capitini risale al 1935 e assume grande importanza nel percorso delnociano, che definisce l’autore degli Elementi di un’esperienza religiosa, l’uomo che lo ha convertito all’antifascismo (cfr. Del Noce, 2001, p. 43). Si tratta di un’opposizione innanzitutto morale al fascismo sotto il segno della categoria della non-violenza (cfr. Lami, 1999, pp. 41-42). Importante in questo senso anche il testo di Capitini (1966).

10 Fondamentali in questa prospettiva due saggi poi pubblicati in Del Noce (1964): “La ‘non-filosofia di Marx’ e il comunismo come realtà politica”, del 1946, e “Marxismo e salto qualitativo”, del 1948. Aggiungiamo inoltre il testo sul marxismo: Del Noce (1972).

11 Non è questo il momento per soffermarsi sulla critica di Del Noce all’antropologia marxista; rimandiamo per questo al recente libro di Riili (2018). Ci interessa tuttavia rilevare, ai fini del nostro lavoro, come l’intera interpretazione delnociana di Marx nasca proprio dalla sottolineatura di una nuova visione dell’uomo come radice della novità del marxismo. Ancora una volta il paragone con il sistema di Machiavelli permette a Del Noce di mettere maggiormente a fuoco uno dei punti centrali della sua interpretazione del moderno.

13 Ritornano in questa critica di Del Noce le categorie di Aldo Capitini di persuasione e non-violenza.

14 Cfr. Del Noce (2001 e 2020).

15 Significativo in questa prospettiva sarà il testo pubblicato per la prima volta alla fine degli anni Cinquanta sotto richiesta dei dirigenti della democrazia cristiana e dove confluiranno molte delle idee delnociane che abbiamo trattato in questo breve lavoro. Cfr. Del Noce (1994; 2001, pp. 219-241).

Received: January 31, 2022; Accepted: March 10, 2022

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