Sommario: I. Premessa. II. Animale o animali? III. Animali da compagnia o d’affezione? IV. Cos’è il danno interspecifico? V. Alcune considerazioni conclusive. VI. Bibliografia.
I. Premessa
Questo scritto vuole verificare la risarcibilità o meno della figura del “danno interspecifico”, nel suo profilo non patrimoniale, tema di dibattito per dottrina e giurisprudenza nell’ordinamento giuridico italiano oramai da circa 30 anni,1 che, grazie alla riforma costituzionale dell’art. 9 avvenuta nel febbraio 2022 (Legge Costituzionale, 11/02/2022, art. 9), può forse vivere oggi una svolta decisiva.
II. Animale o animali?
Per inquadrare e affrontare correttamente le questioni, il linguaggio assume un’importanza ad un tempo preparatoria e fondamentale. Occorre scegliere i vocaboli confacenti ai concetti che si vogliono esprimere. Ciò vale tanto più nelle vicende di bioetica giuridica, ove di frequente l’ambiguità è insita in vocaboli che, transitando tra diversi campi del sapere, possono assumere intensione e/o estensione non univoche. “Animale/i”, ad esempio, è vocabolo trasversale a varie discipline: compare in zoologia, etologia, antropologia, medicina veterinaria, diritto, sociologia, filosofia, teologia...
Una prima notazione linguistica: animale o animali? Il singolare o il plurale? Questa scelta -che prima facie può apparire irrilevante- in realtà presuppone un importante chiarimento preliminare sull’oggetto del nostro discorso.
Non esiste una normativa unica per l’animale, perché non esiste “l’animale”. L’uso del singolare onnicomprensivo -fatto salvo in un contesto in cui sia stato previamente concordato a quale specifico animale ci si riferisca- rappresenta un concetto generico, vago, indeterminato, intangibile, privo di confini, astratto, irreale. Animale sono tanto il cane quanto la pulce. Un concetto indifferenziato e come tale utile solo al disordine e alla confusione. Il cane lo abbracciamo sul divano del salotto, per sterminare la pulce acquistiamo appositi sprait. L’uno -come meglio vedremo infra- viene eletto a compagno di vita, l’altra relegata nelle classi del fastidio e del disprezzo.
Nell’ordinamento giuridico italiano -parimenti che nella disciplina sovranazionale- gli animali vengono classificati in base a categorie giuridiche, contenitori che per lo più contengono animali ripartiti in base alle specie di appartenenza. Un criterio, dunque, anzitutto zoologico. Alcune specie - ad esempio- rientrano nella categoria degli animali selvatici (es. il lupo-canis lupus), altre in quella degli animali domestici (es. il cane-canis lupus familiaris). Alcune specie si possono cacciare (es. cinghiale-sus scrofa), altre sono protette (es. orso bruno-ursus arctos). Ma non è sempre così semplice distinguere. Le categorie giuridiche non si esauriscono in una classificazione di mera inclusione di specie selezionate.
Possiamo infatti individuare una casistica di animali la cui “specie” risulta ibrida: caso paradigmatico quello dei conigli -forse la categoria meno circoscrivibile- che possono essere animali d’affezione, ma anche selvatici o da sperimentazione o d’allevamento (quindi possono risultare eduli, contraddicendo uno dei principi fondamentali per la definizione degli animali d’affezione).2 Categorie, per l’appunto, difficili da gestire limitandosi ad assumere le differenze di specie, qui citate solo sommariamente e che meriterebbero invece uno sguardo dedicato e approfondito.
Ad esito di questa breve ricognizione, possiamo condividere che l’uso del singolare non regge rispetto né alla configurazione giuridica nazionale né a quella sovranazionale. “Animale”, singolare onnicomprensivo, esprime pertanto un concetto irreale. Non trova rispondenza né nella realtà empirica né nella disciplina giuridica. È doppiamente sconfessato. Dobbiamo parlare di “animali”.3 Al plurale. E operare distinzioni.
1. Gli animali nel diritto italiano
Nell’ordinamento giuridico italiano permane una forte ambivalenza tra le diverse categorie giuridiche di animali: da lavoro, da allevamento/macello, da sperimentazione, da caccia, e -davvero un apax- d’affezione. Si prospetta un difficile equilibrio, quindi, tra un approccio di subordinazione e strumentalizzazione degli animali alle utilità umane e un approccio, viceversa, di relazione amicale radicata nel vissuto quotidiano.
Anzitutto il codice civile continua a considerare gli animali al pari delle cose, cosicché l’animale domestico è un bene patrimoniale, che può essere oggetto di proprietà (art. 924 ss. c.c.) o di usufrutto (art. 994), può essere acquistato per occupazione (art. 923 c.c.), può essere compravenduto (art. 1496), i danni che cagiona vengono imputati al proprietario (art. 2052); mentre l’animale selvatico è res nullius, oggetto di appropriazione da vivo o da morto.4
Il codice penale [c. p.] a seguito della riforma di cui alla L. 189 (2004) tutela -affidandosi alla formulazione linguistica nella sua letteralità- il sentimento per gli animali:5 il titolo IX-bis del Libro II del Codice Penale è infatti rubricato “Delitti contro il sentimento per gli animali”. Al “sentimento” degli esseri umani verso gli animali viene collegata una specifica salvaguardia6 tramite l’introduzione di quattro fattispecie incriminatrici,7 nonché la trasformazione del maltrattamento da contravvenzione a delitto e conseguente inasprimento delle regime sanzionatorio. Tuttavia, significativa parte della dottrina ha espresso l’orientamento che la ratio della disciplina sia quella di tutelare direttamente gli animali, ad es.:
una logica interpretativa che voglia mantenersi coerente con la ratio delle nuove previsioni impone di intendere il richiamo a quel bene giuridico come elemento secondario e insieme “di rinforzo” rispetto alla tutela degli animali, rifiutando con decisione ogni tentativo di letture conservatrici che volessero spostare nuovamente l’asse della tutela verso beni e parametri appartenenti al mondo umano anziché a quello animale (Valastro, 2012, p. 648).
Anzi, secondo alcuni Autori, è bene tenere a mente questa duplicità: la riforma ha previsto una disciplina normativa che protegge gli animali dalle condotte vietate e sanziona gli umani che di dette condotte sono autori (Mazzucato, 2012, p. 697). Anche perché riferirsi al parametro del sentimento umano pare, oltre che poco plausibile come fondamento dell’esigenza riformatrice, nel concreto eccessivamente discrezionale, ad es.:
un diritto penale saldamente ancorato, in virtù di precisi principi costituzionali, al fatto penalmente rilevante perché offensivo di beni giuridici afferrabili non può riconoscersi nella tutela del puro “sentimento” per gli animali […] Spostare il focus dall’effimero “sentimento” al “valore” e al “soggetto”, cioè al bene giuridico afferrabile e offendibile: è questa la via da percorrere (Mazzucato, 2012, pp. 699-670).
Si tratta, infatti, di una tutela prevista questa volta verso gli animali in generale -Valastro (2012) dice “estesa a tutti gli animali (d’affezione, domestici, esotici, vertebrati, invertebrati, ecc.), a prescindere dalla loro capacità di suscitare compassione nell’essere umano” (p. 646)- per il fatto stesso costituente reato, non rivolta ad un determinato animale di un determinato padrone, ossia ad un esemplare specificamente individuato.8
Il c. 9-bis dell’art. 189 (2010) del codice della strada prevede che l’utente della strada in caso di incidente da cui derivi danno a un animale (d’affezione, da reddito o protetto), ha l’obbligo di fermarsi e di porre in atto ogni misura idonea ad assicurargli un tempestivo intervento di soccorso.
Il disposto del nuovo c. 5 dell’art. 1138 (2012) prevede che la convivenza del padrone con il proprio animale di affezione non sia comprimibile dai regolamenti condominiali (leggasi: “le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici”).
Il D.Lgs. n. 26 (2014) all’art. 6 c. 1 prevede che la soppressione dell’animale nella sperimentazione scientifica debba avvenire “con modalità che arrecano il minimo dolore, sofferenza e distress possibile”, e all’art. 16 c. 1 prevede l’obbligo di tenere conto “delle esperienze dell’animale nel corso di tutta la sua vita”.
L’art. 1, c. 1, lett. equiquies del D.L. 121 (2021) 9 -nel modificare l’art. 177 C.d.S.- prevede che mediante decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti siano disciplinate le condizioni alle quali “il trasporto di un animale in gravi condizioni di salute può essere considerato in stato di necessità, anche se effettuato da privati”.
L’art. 1, c. 980, della L. 234/2021 (Legge di Bilancio 2021) prevede il divieto di allevare o cacciare animali per la finalità di ricavarne pelliccia.
L’art. 1 della già citata L. cost. 1/2022, infine, inserisce nella Costituzione [Cost.] la riserva di legge per la disciplina della tutela degli animali (principio di garanzia sancito dall’art. 25 Cost. per quelle materie che si vogliono regolamentare soltanto con norme di rango primario).
Le posizioni più avanzate si reperiscono nella giurisprudenza della Cassazione penale, oramai consolidata nel riconoscere la rilevanza giuridica della natura senziente di alcuni animali. I passaggi più interessanti riguardano gli artt. 544-ter c.p. e 827 c. 2 c.p., entrambi reati comuni, ossia commissibili da chiunque, a forma libera;10 il primo (in quanto fattispecie delittuosa) imputabile solo a titolo di dolo; il secondo (in quanto fattispecie contravvenzionale) imputabile anche per colpa.
In applicazione dell’art. 544-ter c.p. (maltrattamento di animali) si ritiene che il reato sussista per essersi verificato il fatto, “indipendentemente dalle lesioni eventualmente arrecate” (Cass. Sez. III pen., n. 17691/2018)11 all’animale e a valere anche per condizioni solo “provvisorie” (Cass. Sez. III pen., n. 29510/2019 e n. 16755/2018). Si legge infatti (e non è cosa dappoco) che “la previsione di tali reati riconosce il valore giuridico della vita dell’animale, che è soggetto passivo del reato e non mero oggetto materiale” (Cass. Sez. III pen., n. 3674/2017).12 Similmente, quanto all’art. 727 comma 2 c. p. (detenzione di animali) la giurisprudenza della Corte di Cassazione penale ritiene che
l’inserimento, nella nuova fattispecie di reato, del requisito della sofferenza (fisica o psichica), esprime con chiarezza la scelta di considerare gli animali come esseri viventi suscettibili di tutela diretta e non più indiretta sol perché oggetto del sentimento di pietà nutrito dagli esseri umani verso di loro (Cass. Sez. III pen., n. 52031/2016 e n. 36713/2021).
Così, ad esempio, in riferimento alla prima ipotesi dell’art. 544-ter c. p. (che attiene alla lesione dell’animale), il reato è stato ritenuto integrato nel caso di un cane affetto da vari tumori mammari il cui proprietario aveva omesso di adottare i provvedimenti necessari per la tutela della salute del medesimo (Cass. Sez. III pen., n. 22579/2019), e nel caso di un capriolo rinvenuto nel cassone di un veicolo colpito da arma da fuoco ma ancora vivo e scalciante (in compagnia di altri due invece già deceduti.) (Cass. Sez. III pen., n. 29816/2020). L’obbligo di cura e l’obbligo di colpo di grazia sono due circostanze di rilevanza sostanziale: l’animale, in quanto essere vivente senziente, va assistito e medicato e, se destinato al decesso, non va fatto soffrire. Alla base di queste previsioni vi è pertanto un nuovo concetto dell’essere animali, attualizzato con la consapevolezza della senzienza del loro organismo (oramai riferita pacificamente, ad es., ai mammiferi).
III. Animali da compagnia o d’affezione?
Una seconda notazione linguistica. Atteso che occorre parlare di “animali”, al plurale, la particolare categoria che qui intendiamo attenzionare va qualificata “da compagnia” o “d’affezione”? L’uso invalso è di considerare le due locuzioni sinonime ma in realtà la differenza che intercorre tra di loro non risulta irrilevante. I concetti di compagnia e di affezione, infatti, non paiono sovrapponibili né intercambiabili (lo stare insieme non esaurisce la portata del volersi bene).
Nella disciplina sovranazionale europea non pare riscontrarsi uniformità,13 tuttavia nell’ordinamento giuridico italiano risulta prevalere oramai l’orientamento volto a privilegiare la locuzione “animali d’affezione” che, in effetti, è preferibile.
Parlano di “animali d’affezione”, ad esempio, la L. 14/8/1991, n. 281, Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo, all’art. 1; l’art. 31 della L. 29.7.2010, n. 120. Permane invece la duplicità sinonima “animali di affezione o da compagnia” nella L. 28.12.2015, n. 221, ed anche sul sito del Ministero della Salute nella sezione Animali. Anche la giurisprudenza più recente è attestata stabilmente sulla locuzione “animali d’affezione”.14
Infatti, il dato che assume rilievo -anche giuridico- non è tanto la presenza di compagnia dell’animale quanto piuttosto l’instaurarsi di una relazione di legame affettivo (il che ancor meglio emergerà nel seguito).
Dunque: animali d’affezione.
1. Gli animali d’affezione nel diritto italiano
La categoria giuridica degli animali d’affezione è oggi distante mille miglia sia dalle cose sia, d’altra parte, dagli animali da lavoro, da allevamento/macello, da sperimentazione: ci parla di esseri viventi compagni e interlocutori dei loro padroni.
Detta categoria è stata giuridificata a partire dall’art. 1 (L. 14/8/1991, n. 281) che recita:
lo Stato promuove e disciplina la tutela degli animali di affezione, condanna gli atti di crudeltà contro di essi, i maltrattamenti e il loro abbandono, al fine di favorire la corretta convivenza tra uomo e animale e di tutelare la salute pubblica e l’ambiente.
Gli animali d’affezione non sono eduli, non vanno abbandonati né maltrattati (Titolo IX-bis del Libro II del Codice penale, art. 544 bis e ter c. p., L. 20/7/2004, n. 189), devono venire soccorsi se investiti da veicoli (art. 189, L. 29/7/2010, n. 120), non possono essere pignorati (l’art. 514 c. p. c. - come modificato dalla L. 28/11/2015, n. 221- prevede nel novero delle cose mobili assolutamente impignorabili (n. 6-bis) “gli animali di affezione o da compagnia tenuti presso la casa del debitore o negli altri luoghi a lui appartenenti, senza fini produttivi, alimentari o commerciali”, e (n. 6-ter) “gli animali impiegati ai fini terapeutici o di assistenza del debitore, del coniuge, del convivente o dei figli”), possono invece vivere in condominio con i loro padroni (art. 1138 c. 5, L. 11/12/2012, n. 220). Di loro si deve avere la stessa cura che si ha per i minori umani. Riferendosi ad un cane, si può leggere: “l’animale condotto al seguito o trasportato in autovettura richiede la stessa attenzione e diligenza che normalmente si usa verso un minore” (Cass. Sez. III pen., n. 21805/2007). Stessa cosa, in sede civile, accade nello scioglimento del rapporto di coppia (sia coniugale sia more uxorio): parrebbe addirittura che la conflittualità derivante dalla gestione dell’animale d’affezione sia la quinta causa di separazione (Gasparre, 2012). Anche in questo caso, infatti, si fa talvolta applicazione analogica agli animali d’affezione dei criteri sanciti per i minori.15Il Tribunale di Roma, in particolare, ha espressamente dichiarato di aver fatto applicazione “per analogia” della “disciplina riservata ai figli minori”, e nello stabilire l’affido condiviso del cane (a due ex conviventi more uxorio) ha specificato di voler “tutelare l’interesse materiale-spirituale-affettivo dell’animale” (espressione ripetuta due volte nel testo della sentenza), perché -e questo passaggio è sintomatico- occorre valutare la fattispecie “dal punto di vista del cane, che è l’unico che conta ai fini della tutela del suo interesse”. 16“Assume quindi particolare rilievo la decisione in commento, che considera l’animale domestico quale centro autonomo di imputazione di interessi di natura materiale, spirituale ed affettiva, con tendenziale passaggio ad una considerazione “soggettiva” dello stesso” (Pittalis, 2017, p. 471).
Ne troviamo conferma (più unica che rara, ad onor del vero, e pubblicata con l’accompagnamento dell’inciso “senza commento”) in una ordinanza del Tribunale di Varese dell’11 gennaio 1996, volta a consentire a un cane, deperito in ragione della sofferenza psicologica cagionata dalla separazione forzata dal suo padrone rinchiuso in carcere, il “permesso di visita” per essere accompagnato, munito di museruola e guinzaglio, a incontrare il padrone nell’istituto di detenzione. Per far ciò il cane è stato espressamente riconosciuto membro effettivo del complesso famigliare17 e trattato con la medesima procedura adoperata per i figli minori. Parimenti, dieci anni dopo, l’ordinanza del magistrato di sorveglianza del Tribunale di Vercelli del 1 novembre 2006 ha consentito al detenuto di ricevere la visita del suo cane per “coltivare e mantenere i valori affettivi più significativi”.
2. L’attaccamento per gli animali d’affezione in Italia
La figura degli animali d’affezione si è affermata a partire dalla seconda metà del Novecento.18 Oggi circa un italiano su tre convive con uno o più animali di affezione.
Nel Rapporto Eurispes 2019,19 gli animali d’affezione sono ritenuti membri effettivi della famiglia dal 76,8 % del campione intervistato. Tra questi, il 32,9 % li considera come “figli” e il 60 % come “migliori amici”. Secondo alcune fonti, “si stima che la metà dei cani e dei gatti italiani dorma nel letto con il proprietario” (Guazzaloca, 2021, p. 126).20
La Fediaf (Federazione europea delle industrie per gli alimenti per animali famigliari) calcola che gli animali d’affezione in Europa siano circa 300 milioni (richiamato in Assalco-Zoomark, p. 8). Secondo il Rapporto Assalco-Zoomark 2020, che stima in Italia fossero presenti (nel 2019) 60,27 milioni di animali di affezione,21
convivere con un animale da compagnia genera benefici fisici e mentali, quali ad esempio una pressione del sangue più bassa, un miglioramento del tono muscolare e una diminuzione dello stress [...] il rapporto con il pet è una dipendenza emotiva reciproca spontanea, genuina, che aumenta la resilienza dei proprietari (p. 8).
Secondo l’Osservatorio Coop 202022 durante il lockdown della pandemia Covid-19 sono stati 3,5 milioni gli italiani che avrebbero acquistato un animale d’affezione mentre altri 4,3 milioni avrebbero progettato di farlo nel periodo immediatamente successivo.
Anche la giurisprudenza ha avuto modo di rilevare la presenza degli animali come componenti attivi dei contesti famigliari:
il rapporto con gli animali domestici non può essere paragonato a quello con una cosa, trattandosi di una relazione con esseri viventi, prevalentemente fonti di compagnia e nella maggior parte dei casi considerati dai loro padroni come “membri della famiglia” (Trib. Vicenza, n. 24/2017).
Ne deduciamo che gli animali d’affezione sono parte integrante dell’attuale società italiana e sono inseriti quali componenti usuali nei contesti famigliari.
3. Il lutto per la morte (rectius: l’uccisione) degli animali d’affezione
A questo punto, per completare il quadro introduttivo e accedere all’analisi argomentativa giuridica, occorre capire in che misura la morte degli animali d’affezione -se avvenuta ad esito di una uccisione- può incidere, sotto profilo non patrimoniale, sulla vita dei loro padroni.
Come abbiamo visto, l’animale non è una cosa ma un compagno di vita, nel giorno dopo giorno condivide le abitudini del padrone che si sente diretto responsabile delle sue condizioni di salute e di benessere. Parimenti si inserisce nelle dinamiche dei sistemi famigliari, di cui viene ritenuto componente.
La sua uccisione, pertanto, cagiona la perdita irreversibile di un peculiare riferimento affettivo, di un interlocutore dinamico della quotidianità, un vero e proprio lutto per il suo padrone e per il nucleo famigliare in cui detto animale era inserito e viveva stabilmente23 (un lutto che la giurisprudenza di merito non ha mancato, talora, di comparare -e assimilare parzialmente- a quello per la perdita di un famigliare umano24). Il tema può darsi oramai per acquisito.25
IV. Cos’è il danno interspecifico?
Con la locuzione “danno interspecifico”26 si individua il nocumento patito dal padrone27 nel caso di uccisione dolosa o colposa del suo animale d’affezione. Ciò può avvenire per responsabilità extracontrattuale (ad es. Aggressione da parte di un altro animale, incidentistica stradale, violenza fisica da parte di umani, colpi d’arma da fuoco...) o per inadempimento contrattuale (ad es. responsabilità veterinaria per negligenza, imprudenza, imperizia oppure responsabilità per mancata custodia da parte di soggetti specializzati a cui gli animali erano stati affidati...).
L’interrogativo è: in tali ipotesi va risarcito soltanto il danno interspecifico “patrimoniale” o anche quello “non patrimoniale”? entrambi i profili sono meritevoli di tutela? Il primo consiste nel valore venale dell’animale e nelle eventuali spese veterinarie e farmacologiche sostenute nel tentativo di curarlo per evitare l’esito infausto. Il secondo, invece, può essere sinteticamente definito come il danno patito dal padrone per la perdita di un suo compagno di vita, di un interlocutore del suo vissuto quotidiano, per la definitiva interruzione della relazione affettiva tra esseri viventi di due specie diverse (per l’appunto, il padrone animale umano e l’animale d’affezione non-umano).
1. Perché non va risarcito
La Corte di Cassazione ha affrontato il tema in tre occasioni, di cui una volta -correva l’anno 2008- a Sezioni Unite [S.U.]. In due circostanze - affrontando casi specifici- ha rigettato la risarcibilità di questo danno (nel suo profilo non patrimoniale) mentre in un caso lo ha semplicemente inserito in una elencazione esemplificativa dei danni non patrimoniali da ritenersi inammissibili.
Il concetto è semplice: la relazione tra il padrone e il suo animale d’affezione non gode di copertura costituzionale, né tanto meno può dirsi costituire un diritto primario per la persona. Fatto salvo, possiamo intendere, il caso in cui il risarcimento del danno non patrimoniale per uccisione dell’animale d’affezione derivi dalla commissione di un fatto-reato, poiché in tal caso vi è una espressa previsione di legge che lo prevede.28
Dapprima la Corte di Cassazione con sentenza n. 14846/2007 (Cricenti, 2008, pp. 215-221; Foffa, 2008, pp. 40-42) aveva ritenuto, respingendo una richiesta di risarcimento del “danno esistenziale” per morte di un cavallo, che
la perdita del cavallo in questione, come animale da affezione, non sembra riconducibile sotto una fattispecie di un danno esistenziale consequenziale alla lesione di un interesse della persona umana alla conservazione di una sfera di integrità affettiva costituzionalmente protetta. La parte che domanda la tutela di tale danno, ha l’onere della prova sia per l’an che per il quantum debatur, e non appare sufficiente la deduzione di un danno in re ipsa, con il generico riferimento alla perdita delle qualità della vita. Inoltre la specifica deduzione del danno esistenziale impedisce di considerare la perdita, sotto un profilo diverso del danno patrimoniale (già risarcito) o del danno morale soggettivo e transeunte.
Tale pronuncia, tuttavia, era stata ritenuta ambigua, in quanto non si deduceva con chiarezza se si trattasse di una radicale inammissibilità di detta figura di danno o piuttosto di un inadempimento probatorio del deducente nel caso specifico.
Il punto è stato chiarito dalle S. U. di S. Martino del 2008 (Cass., S. U., n. 26972/2008) che -in linea di principio- hanno affermato che
la tutela [n. d. r. non patrimoniale] non è ristretta ai casi di diritti inviolabili della persona espressamente riconosciuti dalla Costituzione nel presente momento storico, ma, in virtù dell’apertura dell’art. 2 Cost. ad un processo evolutivo, deve ritenersi consentito all’interprete rinvenire nel complessivo sistema costituzionale indici che siano idonei a valutare se nuovi interessi emersi nella realtà sociale siano, non genericamente rilevanti per l’ordinamento, ma di rango costituzionale attenendo a posizioni inviolabili della persona umana (§ 2.14. della sentenza).
Tuttavia, nel prosieguo le S. U. hanno espressamente escluso che in tale ambito possa rientrare il danno interspecifico. Infatti, hanno inserito il caso di uccisione dell’animale d’affezione tra le “fantasiose, ed a volte risibili, prospettazioni di pregiudizi suscettivi di alterare il modo di esistere delle persone” (§ 3.2. della sentenza) e, poco dopo, tra i “diritti immaginari” (§ 3.9. della sentenza). Anche un Autore che apprezza i contenuti della decisione delle S.U. ammette che “possono, forse, aver sbagliato nel ricomprendere questo contenzioso [n.d.r. danno interspecifico] all’interno del tanto criticato quadro bagatellare” (Ponzanelli, 2011, p. 665). Le esemplificazioni fatte dalle S. U. hanno sortito molte e ferventi critiche.29
Infine l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 26770/2018 (Bona e Cerlon, 2019, pp. 489-502) ha dichiarato inammissibile un motivo di ricorso riferito al mancato risarcimento del danno non patrimoniale per ferimento dell’animale d’affezione precisando che il giudice si era uniformato
all’orientamento già fatto proprio dalla giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale non è riconducibile ad alcuna categoria di danno non patrimoniale risarcibile la perdita, a seguito di un fatto illecito, di un animale di affezione, in quanto essa non è qualificabile come danno esistenziale consequenziale alla lesione di un interesse della persona umana alla conservazione di una sfera di integrità affettiva costituzionalmente tutelata, non potendo essere sufficiente, a tal fine, la deduzione di un danno in re ipsa, con il generico riferimento alla perdita della “qualità della vita”.
Possiamo pertanto rilevare una coerenza di orientamento (e di motivazioni addotte) presso la Corte di Cassazione italiana, respingente per il danno interspecifico nella sua dimensione non patrimoniale. Ma il tema, forse, oggi non può essere accantonato in maniera così sbrigativa e tranciante.
2. Perché va risarcito
Si propone una situazione molto diversa, infatti, se analizziamo la giurisprudenza delle corti di merito. In tal caso il quadro generale è composito, più possibilista, al punto che emerge con sempre maggior frequenza la tendenza ad accogliere le istanze risarcitorie dei padroni degli animali d’affezione.
In letteratura sono reperibili circa una sessantina di pronunciamenti nell’arco temporale degli ultimi 30 anni,30 da cui deduciamo che detto danno è stato ampiamente risarcito. Le ultime pronunce reperite nel momento in cui scrivo, peraltro, risultano tutte favorevoli (Trib. Brindisi, n. 1335/2020; Trib. La Spezia, n. 660/2020; Trib. Torino, n. 1536/2021; Trib. Lucca, n. 764/2021), ed esprimono anche un incremento delle somme risarcite rispetto alla media complessiva (l’apice della quantificazione lo rinveniamo nei 6.000,00 Euro liquidati dal Tribunale di Torino con sentenza n. 1536/2021 a favore di un singolo danneggiato). Le liquidazioni di tale posta di danno non patrimoniale,31 comunque sia stata qualificata (le diciture della giurisprudenza sono infatti mutate nel corso del tempo, ma oggi è consolidata la locuzione “danno non patrimoniale”), risultano di ampia variabilità, a testimonianza dell’assoluta arbitrarietà del conteggio che, in effetti, avviene sempre “secondo equità”32 (che, quando non si pone come quantificazione equitativa astratta slegata da qualunque parametro, ad es. Trib. Vicenza, n. 24/2017, viene ispirata da criteri anch’essi diversificati, in via esemplificativa: la durata della relazione intercorsa tra il padrone e l’animale d’affezione, ad es. Trib. Brescia, n. 2841/2019, l’età e la presumibile aspettativa di vita dell’animale, ad es. Trib. Venezia, n. 1936/2020, la durata della sofferenza dell’animale prima del decesso, ad es. Giud. pace Palermo, n. 1003/2010, le modalità traumatizzanti dell’uccisione, ad es. Trib. Foggia, n. 1021/2011 e Trib. Lucca, n. 764/2021, l’intensità del dolo del danneggiante, ad es. Trib. Cassino, pen., n. 230/2012).
Quella tra il padrone e il suo animale d’affezione è una relazione tra esseri viventi senzienti, entrambi capaci di stabilire attaccamento affettivo, di talché esprimono un vissuto comune, costruendo nel tempo una loro esperienza condivisa, specifica, unica.
È innegabile che negli ultimi anni il legame affettivo tra animale domestico e padrone si è affermato quale rapporto familiare, tale da essere considerato un’occasione di completamento e sviluppo della personalità individuale del padrone, e pertanto come vero e proprio bene della persona tutelato ai sensi dell’art. 2 Cost. (Berutti, 2021).
L’art. 2 Cost. può costituire il punto di riferimento, forse in combinato disposto con gli artt. 3 c. 2, 13 c. 1 e 21 Cost. (eventualmente anche dell’art. 32 Cost., in presenza di un profilo “biologico” del danno33), nella nuova cornice di tutela del riformato art. 9 Cost.
L’art. 2 Cost., infatti, è una clausola aperta a contenuto atipico, capace di accogliere l’emergere di nuovi diritti, nella cornice delle sensibilità e dei valori costituzionali. Il fulcro della sostanza giuridica è il valore della persona e, ad un tempo, la persona quale valore. Si parla di “principio personalista” della Costituzione, il quale imporrebbe di “includere fra i principi supremi di essa quello che garantisce la libertà della persona, intesa tanto in senso fisico quanto in senso morale” (Pizzorusso, 1992, p. 459). Detto principio “è la vera matrice dei singoli diritti personali enumerati e degli eventuali altri diritti (non enumerati) che, in quanto parallele dirette esplicazioni, vanno considerati, alla pari degli altri, come diritti positivi della persona” (Modugno, 1995, p. 12).
L’art. 3 c. 2 Cost. promuove “il pieno sviluppo della persona umana” (in riferimento al contesto economico e sociale). L’art. 13 c.1 Cost. dichiara inviolabile la libertà personale. L’art. 21 Cost. afferma la libertà di pensiero di ogni persona. Si tratta di alcuni dei capisaldi dell’impronta personalista della Carta costituzionale italiana, che -per l’appunto- nel caso in esame possono operare in sinergia con l’art. 2 Cost.
Il tema costituzionalistico, ovviamente, meriterebbe ben altro approfondimento, qui tuttavia ci limiteremo -di necessità- a offrire questi brevi spunti.
Il perno lo reperiamo nel binomio relazione/affettività: i due interlocutori si riconoscono reciprocamente nella loro individualità34 e così divengono infungibili l’uno all’altro (ne è riprova l’art. 514 num. 6-bis e 6-ter c.p.c che sancisce l’impignorabilità dell’animale d’affezione). È specialmente questa relazione affettiva a rendere infungibile l’animale. Qualunque altro animale, anche dotato delle medesime caratteristiche e qualità, stabilirebbe con il padrone una relazione diversa e i due svilupperebbero insieme un diverso vissuto. L’animale d’affezione “è infatti una condizione del benessere psichico, un connotato di qualità della vita, un’opportunità di espressione e formazione della personalità” (Zatti, 2005, p. 2023).35
Ecco perché l’investimento affettivo unilaterale che una persona può fare verso un oggetto non è assimilabile alla relazione affettiva bilaterale che può invece edificare con un animale. Con uno specifico animale, riconosciuto nella sua individualità. E se viene ucciso quell’animale la relazione è perduta. Con un altro animale si potrà costituire un’altra relazione. Ineluttabilmente diversa dalla precedente e a lei non sovrapponibile.
Il rapporto tra padrone e animale d’affezione può essere considerato espressione di una relazione che costituisce occasione di completamento e sviluppo della personalità individuale e quindi come vero e proprio bene della persona, tutelata dall’art. 2 della Costituzione (Trib. Arezzo, n. 940/2017).
Si tratta di una ricostruzione che -oramai ad avviso di molti- consente di ricomprendere la relazione affettiva interspecifica tra gli atti di libertà autodeterminativa dell’individuo, quale forma di aggregazione sociale spontanea che da luogo a dinamiche relazionali in cui l’individuo esplica la sua personalità. In via esemplificativa: Chindemi (2007, p. 2275); Cricenti (2008, p. 219); Viola (2009, p. 174); Bona (2009, p. 1035); Bilotta e Ziviz (2009, pp. 533-534); Albanese (2011, p. 2068); Salciarini (2011, p. 40); Russo e Rossi (2013, p. 94); Sala (2014, p. 21); Salvatore (2014, p. 1436); Pittalis (2016, p. 1173); Bona e Cerlon (2019, p. 499); Fossà (2020); Donadoni (2022a, 2022b, 2022d, 2022e).
V. Alcune considerazioni conclusive
Eravamo partiti dal quesito sulla risarcibilità o meno del danno interspecifico nell’ordinamento giuridico italiano. Abbiamo sinteticamente illustrato entrambe le posizioni che si fronteggiano, quella negativa tradizionale (che fa capo alla Corte di Cassazione) e quella positiva che si sta progressivamente affermando nel dibattito dottrinario e giurisprudenziale. A nostro avviso, in base all’evoluzione delle conoscenze delle scienze della vita che dimostrano sempre più dettagliatamente le capacità anche sensoriali, intellettive e affettive di alcuni animali,36 tenuto conto dello stato delle prassi socio-culturali (con la figura dell’animale d’affezione acclarata dai dati sociologici),37 nonché della rilevanza che la relazione tra umani e animali può assumere anche dal punto di vista salutistico e terapeutico,38 oggi non è più negabile che detta relazione possa beneficiare di una tutela e di una contestuale copertura risarcitoria sotto profilo giuridico. Il danno non patrimoniale del padrone per l’uccisione del suo animale d’affezione risulta di evidente sensatezza39 e conforme ai principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale personalista italiano.