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Nova tellus

versión impresa ISSN 0185-3058

Nova tellus vol.40 no.1 Ciudad de México ene./jun. 2022  Epub 08-Abr-2022

https://doi.org/10.19130/iifl.nt.2022.40.1.432571 

Artículos

L’elmo di Telesilla

Telesilla’s helmet

aUniversità LUMSA, Roma, dcianci@lumsa.it


Riassunto:

Nel presente contributo si rilegge la poetessa Telesilla di Argo, come uno dei pochi nomi giunti dalla lirica femminile su cui possiamo ricavare notizie puntuali, nonostante la frammentarietà dei versi pervenuti. Attraverso le diverse testimonianze ci si sofferma sui miti citati dalla poetessa come una preziosa documentazione dei culti del Peloponneso, spesso legati al dio Apollo. L’immagine della donna guerriera che salva la propria città si contestualizza, più realisticamente, in una cornice di performance rituali femminili. Si conclude inoltre con alcune indicazioni storiche circa la battaglia di Sepeia, combattuta contro Sparta tra la fine del VI e l’inizio del V secolo, riportata secondo versioni diverse. Le fonti sono Erodoto e Pausania, oltre alla voce “Telesilla” del lessico Suda. La storicità della battaglia resta problematica, ma avvincente soprattutto per la questione femminile argiva, che aveva la protezione di un’Afrodite armata e barbuta, quasi mascolina.

Parole chiave: Telesilla; Apollo; Argo; Sepeia; Afrodite; lirica greca

Abstract:

This contribution examines the poetess Telesilla of Argo, as one of the few names that came from female Greek lyric, in which we can find precise information, despite the small number of verses that have come. Through the testimonies, we focus here on the myths mentioned by the poetess as a precious documentation of the Cults practiced in the Peloponnese’s area, often linked to the Apollo. The image of the warrior woman who saves her city is contextualized, more realistically, in a frame of female ritual performances. The contribution concludes with some indications on the well-known battle of Sepeia, fought against Sparta (6th-5th century) according to different versions. The sources are Herodoto and Pausanias, as well as the entry “Telesilla” of the Suda lexicon. The historicity of the battle remains problematic, but especially compelling for the question of the Argive women, who have the protection of an armed and bearded, almost masculine Aphrodite.

Keywords: Telesilla; Apollo; Argo; Sepeia; Aphrodite; Greek liryc

Lo status symbol di un poeta antico si potrebbe riconoscere in un indumento molto particolare, nella mitra.1 Per le donne, alcune volte, questa è stata associata anche alla maturità sessuale (o più improbabilmente a una maturazione professionale), stando a un epigramma palatino di Antipatro di Sidone (6.276.4),2 in cui si accenna a quella che curiosamente potremmo definire la “mitra della verginità” o più precisamente, rispettando il plurale del testo, i “veli virginali” parlanti (μίτραι παρθενίας), che testimoniano una purezza protratta fino al matrimonio e che sembra pretendere, per la vergine di turno, i favori, che le sono dovuti per aver mantenuto la verginità.3 La mitra è notoriamente citata da Saffo nel fr. 98 Voigt,4 ma, nonostante la questione resti dubbia e dibattuta, in questo caso, a mio avviso, è presentata come un oggetto negato a scopo educativo per la figlia Cleide.5 Questo indumento è indicato con un termine di matrice già omerica per identificare il kleos del guerriero sin dalla sua cintura (Il., 4.187),6 ma in seguito viene riconosciuto come un copricapo orientale indossato dagli atleti e da tutti gli appartenenti al culto dionisiaco, come ricorda Pindaro (N., 8.15),7 ma soprattutto dai poeti, come dichiara Aristofane (Th., vv. 160-163),8 quando indica Alceo, Anacreonte e Ibico come “i poeti portatori di mitra” in perfetto stile ionico, che avrebbe dato loro delle caratteristiche di effeminatezza.

A prescindere dal singolo indumento, si potrà notare che la sessualità, l’identità e la sua esibizione, anche tramite indumenti, non sono argomenti estranei alla lirica greca. Esiste una donna, poetessa di professione, che non si è mai curata della mitra virginale, ma è stata, forse l’unica, a contemplare un elmo vicino a lei, senza curarsi degli ornamenti frivoli. Pausania,9 ricordando la nota raffigurazione di Telesilla con l’elmo, precisa che “i suoi famosi volumi” erano gettati ai suoi piedi mentre guardava l’elmo, come a dire che la donna non aveva gettato via lo scudo —motivo topico— bensì la sua stessa professionalità a favore del kleos. Notevole è anche la distanza con il famoso fr. 1. 67-69 (Davies) di Alcmane,10 dove la “mitra lidia”, insieme ad altri oggetti di lusso, è associata alla mollezza e può indicare qualcosa di sbagliato, se indossata nel tempo non opportuno; Telesilla invece chiama a raccolta le giovani donne per motivi politici, senza curarsi della loro maturità anagrafica.

Telesilla11 di Argo fornisce con armi regolari il suo esercito di donne. Regolari, o quasi: occorre forse rilevare che queste armi, trafugate dai templi e dalle case, per la loro provenienza, appartengono più alle alte sfere che a quella, semplicemente militare, della guerra virile: […] non darò peso a questo particolare, perché sono autentici hópla, né armi di fortuna né parvenze di armi, quelle che impugnano le donne nelle tradizioni nazionali del Peloponneso. Come dire: in una logica che è quella della leggenda,12

con queste parole Nicole Loraux ci ha sintetizzato una donna a capo di azioni valorose intraprese in una società a rovescio, in cui le donne e gli schiavi si trovano a rappresentare i veri trionfatori. L’elemento del “mondo capovolto”, probabilmente perfino specifico dell’ambiente rituale di Argo,13 riporta alla mente l’oracolo doppio ed epikoinon ad Argivi e Milesii (vid. Suid., s. v. Telesilla),14 che faceva riferimento a un tempo futuro in cui le “donne saranno vincitrici sugli uomini”, un momento cui accenna anche Erodoto (VI, 77-81, il quale completa il passo con due versi: “Come dirà qualcuno di quelli che verranno: tremendo serpente dalla triplice spira perì domato dall’asta”);15 Aristotele invece intravede nel mondo capovolto argivo un momento di rivendicazione dei diritti: “E in Argo, poiché erano stati uccisi dallo spartano Cleomene nel settimo giorno, furono costretti a includere alcuni dei perieci”,16 evidenziando la rivendicazione dei “non cittadini” e in seguito perfino degli schiavi, probabilmente dovuta a un fenomeno di invidia sociale, come sottolineato in un breve passo di Diodoro Siculo.17 Torneremo, nel momento conclusivo del contributo, sulla battaglia di Sepeia attribuita alla poetessa, ma ciò che va subito chiarito è il senso antropologico del ruolo assegnato a una donna con l’elmo, conferitole anche da una tradizione tarda. Sappiamo che i suoi canti probabilmente circolavano ancora nel II d. C., come sembra mostrare quanto detto da Pausania, che la cita molto spesso, come vedremo. Fra le testimonianze si ricorda Fozio (Bibl., 115a = fr. 726/10 Page)18 nel catalogo dei poeti dei quali si servì Stobeo; si aggiunga anche Taziano (Ad Gr., 33 = n. 1341 Overbeck);19 sappiamo inoltre che a Pergamo, nella seconda metà del III a. C., lo scultore ateniese Nicerato aveva scolpito una statua della poetessa, così come Euticrate ne aveva dedicata una a Taliarchide, l’altra poetessa argiva, di cui non sappiamo nulla.

Le fonti

Non sono molti i nomi che ci sono giunti sulla lirica femminile e sui quali davvero possiamo dire qualcosa di appropriato, visti i versi fin troppo frammentari. Nel caso di Telesilla, il dato da evidenziare preliminarmente è quello di una donna avvinghiata alla sua terra, ai suoi riti, ai suoi miti, da cui possiamo ricostruire un interessante spaccato di Argo.20 Tutto il Mediterraneo, almeno dal VII sec. a. C., è stato popolato di scrittrici nei vari generi, dalla Lesbo di Saffo a questa interessante regione dell’Argolide fino a tutta l’area peloponnesiaca che va a comporre un canone di poetesse vagamente dialettologico e che porta ad abbinare Telesilla con Prassilla di Sicione.21 Le due donne venivano accostate nelle liste dei grammatici, ma Telesilla dovette essere considerata più brava rispetto alla collega di Sicione, se vogliamo dar credito alla critica di Taziano, vissuto a Roma fra il 150 e il 172 d. C., secondo cui Lisippo aveva dedicato impropriamente una statua alla poetessa Prassilla, che, con i suoi versi, non avrebbe detto “niente di utile” (Ad Gr., 33). Il grammatico Elio Erodiano, citando la serie di nomi in —la inserisce Prassilla prima di Telesilla e Corinna (GG, vol. III 1, p. pp. 251, 32 Lentz: Prassilla, Telesilla, 521,15 Prassilla, Telesilla, Corinna = vol. II Dicrone p. 13, 37 Lentz), ma di fatto le due, in questo caso, sembrano essere raggruppate solo per una ragione onomastica. Consideriamo intanto la celebre lista poetica contenuta nell’epigramma di Antipatro di Tessalonica (ep. XIX, Gow e Page = AP IX, 26),22 scritto in ionico con patine di dorismi23 e che costituisce la base più valida per un ipotetico canone di poetesse greche di diversa area geografica. Questo epigramma elenca nove nomi (Prassilla, Mero, Anite, Saffo, Erinna, Telesilla, Corinna, Nosside, Mirtide), fra cui compare Telesilla,24 poetessa che, com’è noto, collochiamo nel V secolo e la cui fama sembra esser stata notevole. Nonostante questa menzione, e altre testimonianze significative sul suo conto, quella di Telesilla appare ancora una figura incerta.

L’immaginario comune, e fin troppo abusato, le attribuirebbe addirittura la salvezza della città di Argo e le fonti, prese in considerazione singolarmente su questo, vanno da Pausania a Plutarco a Polieno. Massimo di Tiro (Diss., XXXVII 5, ed. 2002), vissuto nel II sec. d. C., ricorda che Telesilla sarebbe forse stata autrice di componimenti parenetici e che con i suoi versi avrebbe invitato gli abitanti di Argo alla lotta. La testimonianza è da collocare fra le principali, in quanto l’autore stabilisce un proverbiale e triplice parallelismo affermando: “I versi di Tirteo svegliarono gli Spartani, i canti di Telesilla gli Argivi e l’ode di Alceo i Lesbi”. Tuttavia leggendo la manciata di frammenti superstiti non compare traccia di queste tinte esortative verso la guerra, mentre notiamo una costante presenza di temi mitici legati all’ambito epicorio argivo.

Che cosa ci fa desumere questo forte senso di religiosità proprio ad Argo? Prescindendo dai toni guerreschi legati immaginariamente alla poetessa, si propone di soffermarsi sulla scelta dei miti da parte di Telesilla (per quel poco che ci resta dei suoi versi) e che la porta a prediligere la saga legata ad Apollo e ai suoi parenti. C’è da riflettere riguardo alla presenza di Artemide, su ciò che è stato il culto di questa dea per tutta l’area peloponnesiaca, sulla presenza del mito di Apollo, fratello di Artemide, e di alcune vicende legate a Pythaeus, suo figlio, giunto da Delfi in Argolide. Da evidenziare la presenza della versione argiva del mito dei Niobidi, in contrasto con quella omerica, oltre che il collegamento di questo mito, ancora una volta, alla familiarità e alla coppia Artemide/Apollo, poiché proprio dalla sfida dei Niobidi fu innalzato un tempio per Latona, ad Argo. E se proprio volessimo prestar attenzione, come spesso si è fatto, al legame fra Telesilla e la guerra, non dovrebbe tanto interessarci la sua reale o presunta presenza nelle battaglie, quanto l’utilizzo del mito in relazione agli argomenti bellici. Si segnala per esempio la presenza della dea Afrodite nell’orizzonte telesilleo, poiché in area dorica vi era un particolare culto della dea legato alla guerra, tanto da rappresentarla con lo scudo in mano (Afrodite Areia), una devozione giunta fino alla dorica terra di Taranto. Non sono pochi i ritrovamenti di statuette di Afrodite con lo scudo e l’elmo, che potrebbero rifarsi al passo citato da Apollonio Rodio: “C’era Citerea dai riccioli folti / che lo scudo leggero di Ares reggeva nella mano: dalla spalla / il bordo del chitone scendeva lento sul braccio sinistro / al di sotto del seno; lo teneva davanti e limpida / la sua immagine riflessa nello scudo di bronzo appariva” (742-746, ed. 2003, trad. Dorella Cianci). Questa descrizione, non esente da ulteriori riflessioni metapoetiche che qui si tralasciano, è inserita nella famosa ekphrasis del mantello di Giasone e sembrerebbe, a una prima lettura, attenuare l’aspetto marziale della dea a favore dell’erotismo rappresentato dalla sua immagine riflessa nello scudo (ma non è qui la sede per discuterne). Va inoltre aggiunto che questo passo è da considerarsi un hapax, fatta eccezione del tempio con Afrodite armata, un tempietto che, secondo Plutarco o secondo un’operetta forse attribuita a lui erroneamente, sarebbe stato fondato da Medea, soprattutto perché l’Afrodite armata era venerata proprio nella Corinto di Medea.25 Inoltre una statua di Telesilla si trovava nel tempio di Afrodite: la dea fra i suoi culti annovera anche quello di Nikephoros, un culto decisamente in contrasto con l’immagine languida fornita da Omero, legata indissolubilmente all’amore,26 che le sarebbe stato invece attribuito dalla Danaide Ipermnestra27 e che consacrò un santuario ad Artemide Peithò (II, 21, 1; sottolineo la linea mitica comune che ci riporta ad Artemide). Al pregnante legame mitico con Afrodite, andrebbe aggiunto, per la comunità di Argo, anche il valore rituale delle Danaidi, le quali riconducono ai riti del travestimento e dello scambio del maschile con il femminile e viceversa, momento centrale delle feste dedicate alla hybris, celebrate nel mese di Ermes, dio di confine anche sull’argomento identitario. Da non trascurare la testimonianza di Macrobio, che nei Saturnalia (III, 8, 2, ed. 1987) ricorda come Aristofane avrebbe definito Afrodite al maschile, Ἀφρόδιτος, e che peraltro menziona la statua a Cipro della dea stessa con la barba.28 La Venere armata è citata anche da Lattanzio (Div. Inst., I, 20, 27-32, ed. 1987), il quale la associa a un episodio accaduto a Sparta durante la lunga guerra contro i Messeni, conflitto durato molti anni e scatenato dall’uccisione del re Teleclo recatosi a Messene per fare un sacrificio o, forse, dalla violazione di alcune vergini spartane. Il racconto di Lattanzio vorrebbe che i Messeni, usciti di nascosto dalla loro città assediata dagli Spartani, cercassero di saccheggiare Sparta, ma furono messi in fuga dalle donne che, armate, si misero alle loro calcagna. Intanto, i soldati Spartani, appresa notizia dell’assalto alla loro città, accorsero in massa, ma viste le donne in armi le scambiarono per le schiere dei nemici. Intimorite allora, queste si denudarono per farsi riconoscere, suscitando l’eccitazione dei soldati che, presi dal desiderio, si abbandonarono ad accoppiamenti promiscui con le concittadine. In quel punto sorse un santuario dedicato alla Venere Armata e che sostituì la Venere Calva.

Il mito di Artemide attraverso Telesilla

La testimonianza più significativa sulla produzione poetica di Telesilla è relativa al fr. 717/1 Page (ἁ δ’Ἆρτεμις, ὦ κόραι / φεύγοισα τὸ Ἀλφεόν “Artemide, o fanciulle, / fuggendo Alfeo”), di cui abbiamo notizia tramite Efestione (XI 2, p. 35 Consbruch, ed. 1906). Cita due versi che peraltro rappresentano un valido esempio di metro telesilleo. Come altre poetesse anche Telesilla ha lasciato il suo nome legato a degli aspetti metrici, di cui fa cenno il grammatico latino Censorino, vissuto nel III secolo d. C.).29 Il telesilleo è uno schema metrico interpretabile come una forma del gliconeo, già usato da Saffo (fr. 96 Voigt) e che Telesilla adatta alle esigenze rituali di Argo. Più tardi verrà impiegato nei famosi pezzi corali sofoclei e in Aristofane (soprattutto Eq., vv. 1111-1120, Pax, vv. 856, 1329, 1033, Ra., v. 451, ed. 2006). Il telesilleo rappresenta anche il metro dell’inno popolare Alla Gran Madre (= fr. ad. 935/17 Page)30 rinvenuto in un’iscrizione di Epidauro (III-IV d. C.) e, proprio per questo, attribuito a Telesilla, ma frutto di una composizione posteriore.31

Torniamo al frammento citato da Efestione, che è composto di due soli versi appartenenti a un’ode corale in cui si richiamava il mito di Artemide. Il riferimento era probabilmente a un’Artemide Ποταμία,32 cioè “dea protettrice dei fiumi”, citata da Pausania (VI, 22.9), inoltre già conosciamo il legame della dea con l’area peloponnesiaca, che le valse l’epiteto, a Sparta, di Orthia; proprio a Sparta venne eretto in suo onore un santuario nel quale vigeva un duro sistema rieducativo, di cui abbiamo diverse testimonianze.33 Senofonte, nella Costituzione degli Spartani (ed. 1979), fa esplicito riferimento all’altare di Orthia (in II, 9). Si ricorda anche un legame della dea proprio con Argo probabilmente per il culto di Artemide Brauronia e legata al tema della maternità.34 Il frammento di Telesilla, dove si cita la dea, si apre con ἁ δ’, lezione corretta, scelta rispetto a ἃδ’, tradita da una parte della tradizione manoscritta e accettata soprattutto da notevoli filologi come Wilamowitz Moellendorf 1900, Diehl, Bergk, così come τᾷδ’ di Edmonds, che indicherebbe il riferimento alla dea e non la sua manifestazione e presenza, ipotesi di difficile accoglimento, ma anche seguita.35 L’apostrofe ben nota alle fanciulle, ὦ κόραι, ha indotto West 1996, p. 19, a ipotizzare un dialogo rituale tra la corifea e le coreute, tipico nelle odi di Saffo. L’invocazione ad Artemide, sia pur stringata, suggerisce che il frammento si potrebbe inserire in un componimento corale simile a quelli di Corinna. Calame ha ipotizzato di essere in presenza di un partenio alla maniera di Alcmane:36 ben sappiamo che il partenio era un genere lirico eseguito da un gruppo di ragazze, cantato con il suono dell’aulo e accompagnato dalla danza. Il motivo principale è la celebrazione del soggetto cantato, ma qui si pone in risalto anche il suo legame con i riti locali, messi in atto sempre da fanciulle (si segnala per esempio un curioso legame di ragazze che si esibivano per Artemide in Il., 16.182-183, in cui Ermes si innamora della sensuale Polimela che danza con le compagne in onore del culto di Artemide). Quale che fosse il genere letterario di appartenenza, sappiamo che nel canto di Artemide poteva verosimilmente trovare spazio anche la menzione del santuario di Artemide Corifea, un luogo di culto che Pausania (II, 28, 2) ci dice essere stato menzionato proprio da Telesilla in un altro carme (fr. 720/4 Page).

Telesilla e il culto di Apollo

Da un altro passo di Pausania (II, 35, 2) sul fr. 719/3 Page apprendiamo che Telesilla raccontava anche la vicenda di Pythaeus, figlio di Apollo che, giunto da Delfi in Argolide, vi avrebbe fondato un tempio e istituito un culto oracolare: “Ci sono (a Ermione) tre templi e tre statue di Apollo: uno non ha nome, il secondo lo chiamano Pythaeus, il terzo Horios”. Il nome di Pythaeus l’hanno appreso dagli Argivi: Telesilla dice infatti che questi furono i primi Greci presso cui venne Pythaeus, figlio di Apollo.37 La poetessa è ancora legata a questo culto, come sappiamo ancora una volta da Pausania, che nella Periegesi, in un passo in cui si fa riferimento al culto di Apollo, racconta: “Salendo verso l’acropoli, c’è il santuario di Era Akraia, ed anche un tempio di Apollo, che dicono sia stato all’origine fondato da Pythaeus venuto da Delfi”.38

Adone

Brevemente occorre menzionare un culto argivo legato al mito di Adone, se ciò possiamo interpretarlo nel riferimento a Telesilla che rintracciamo in Pausania, il quale racconta che ad Argo c’è un edificio in cui le donne piangono Adone:39 tuttavia non abbiamo traccia di un inno ad Adone o di un carme che avesse a che fare con questo mito.

I Niobidi

Si ha notizia di un carme sui Niobidi, in cui Telesilla riferiva una versione argiva del mito. Apollodoro racconta (III, 5, 6 = fr. 771/5 Page) che: “Si salvò dei maschi Anfione, delle femmine Clori la più anziana, che diventò la moglie di Neleo. Secondo Telesilla si salvarono Amicle e Melibea, Anfione fu colpito da quelli con l’arco”. Nel riferimento omerico al mito dei figli di Niobe40 nessuno di essi era sopravvissuto alla strage compiuta da Apollo e Artemide! Apollodoro invece riferisce dunque versioni del mito differenti e ne attribuisce una a Telesilla. In realtà la versione che questa avrebbe cantato nei suoi carmi differiva dall’altra solo per il sopravvissuto maschile cioè Amicle, dato che Clori, come sappiamo da Pausania (II, 21, 9), era il soprannome di Melibea. Pausania, nel citare questo mito, mostra di conoscere la variante raccontata ad Argo, secondo cui Clori ed Amicle sarebbero sopravvissuti e la ricollega all’istituzione del culto di Latona41 senza fare riferimenti espliciti a Telesilla; dichiara tuttavia di accettare la versione omerica sulla fine dei Niobidi, per rispetto all’autorità di Omero, a cui si dichiara fedele: “ma io, che mi attengo un po’ più degli altri alla poesia di Omero, credo che nessuno dei figli di Niobe sia sopravvissuto; me lo attesta il verso: ed essi dunque, benché fossero soltanto in due, li sterminarono tutti. Omero dunque sa che la casa di Anfione fu demolita dalle fondamenta”.42 È quasi superfluo ribadire che il canto di questa storia argiva, che riguardava la madre di Artemide e Apollo, oltre che l’istituzione di un culto epicorio, si confaceva allo stile di Telesilla.

Telesilla e le nozze di Zeus ed Era

L’ipotesi che Telesilla avrebbe composto un inno sulle nozze di Zeus ed Era43 è stata avanzata per una nota contenuta in uno scolio al v. 60 del papiro di Antinoe, risalente al V-VI d. C. (edito per la prima volta da Hunt nel 1930). In corrispondenza del noto verso sulla sapienza delle donne nelle Siracusane(Theoc., 15.64, ed. 2008), in cui si dice: “Tutto sanno le donne: anche come ha fatto Zeus a sposare Era”, è presente - sul margine sinistro - un’annotazione poi cancellata ma leggibile: “poetessa. Telesilla” (= fr. 726/10 iii Page). Si è ipotizzato che la nostra poetessa avesse composto un canto sulle nozze delle due divinità, precorrendo di parecchio tempo la scelta del soggetto matrimonio-regale-Zeus-Era, che verrà utilizzato come esempio mitico per la celebrazione dei sovrani d’Egitto, Tolomeo e Arsinoe,44 di cui si ritrova, nel tempio di Samo, una nota scena di fellatio di Era a Zeus. Certo l’ipotesi dell’esistenza di un canto epitalamio in telesillei è suggerita soprattutto da un noto passo di Aristofane,45 che potrebbe ricordarlo in una composizione per Zeus ed Era, costituita da due strofe di telesillei.

Frammenti superstiti di una buona comunicatrice

Poche annotazioni si possono aggiungere sui frammenti superstiti e riconducibili a lessicografi degni di nota. Li passiamo in rassegna con alcune osservazioni:

- Le donne migliori

fr. 722/6 (= Esichio, s.v. βελτίους)

(cita) “βελτιώτας e migliori (βελτίους)”;

- La coppa circolare

fr. 723/7 (= Ath., XI 467f, cf. Eust., ad Hom., Il., 1207.9)

“Telesilla Argiva chiama l’aia coppa circolare (δῖνον)”

Sul termine si legga X., Oec., 18, 5 ed A., Th., v. 489;

- Capelli crespi

fr. 724/8 (Poll., II 23)

“Telesilla ha detto οὐλοκίκιννε (dai capelli crespi)”.

Si confronti οὐλο-κάρηνος in Od., 19. 246, ma anche οὐλο-κέφᾰλος, in Pherecr., fr. 257 K.-A., οὐλό-κομος, in Alex., fr. 325 K.-A., οὐλό-θριξ, in Hdt., II 104, 2 e οὐλό-τρῐχος, in Arist., HA 629b34;

- Virtù e nobiltà

(fr. 725/9 Page)

Maggiori spunti di riflessione, a seguito della perdita dei versi che ci avrebbero forse fatto rintracciare le citate somiglianze in particolare con Alceo e con Tirteo, stando alla testimonianza di Massimo di Tiro, li ritroviamo in uno scolio all’Odissea (13.289), che fa riferimento al fr. 725/9 Page, “Omero la descrive (Atena) aggraziata e pudica, proprio come Senofonte e Telesilla di Argo sulla loro rappresentazione della Virtù e della Nobiltà”. Il fr. 725/9 testimonia la personificazione di valori aristocratici come Areté e Kalokagathìa e suggerisce un suggestivo parallelo con Senofonte e Telesilla. Sia κατὰ τὴν ὄψιν che εἰκόνα, citati nello scolio, rimandano al campo del visivo, come conferma il verbo διαγρά̆φω, uno di quelli usati per l’atto di descrivere. Lo scolio informa dunque che Senofonte e Telesilla avevano descritto Areté e Kalokagathìa maestose e pudiche, proprio come l’Atena di Omero (si ricorda anche l’esistenza di una Afrodite kataskopia, citata proprio in Paus., II, 32, 3). Per quanto riguarda la personificazione della Kalokagathìa non sembrano testimoniati né dipinti né ekphraseis. Si può solo ricordare che Saffo, pur non avendo ancora usato il termine καλοκαγαθία, aveva per prima delineato la figura del καλός κἀγαθός, anticipando Platone (Chrm., 154e) nel fr. 50 V. ὀ μὲν γὰρ κάλος ὄσσον ἴδην πέλεται <κάλος>, ὀ δὲ κἄγαθος αὔτικα καὶ κάλος ἔσσεται.46

Telesilla, a tal proposito, potrebbe aver combinato la lezione di Saffo con quella di Tirteo (fr. 12.13 West2) sulla vera ἀρετή. Riguardo invece ad Areté, una famosa e autorevole ekphrasis personificata si ritrova nel celebre fr. 2 D.-K. Dalle Ore di Prodico con Eracle (eroe legato alla mitologia argiva) al bivio appunto tra Areté e Kakia. Inoltre il pittore Aristolao (IV a. C.), figlio e allievo di Pausia di Sicione (polis non lontana da Argo), specializzato in personificazioni, dipinse una Virtuspersonificata, oltre che unaimago Atticae plebis (Plin., HN, XXXV, 137). Lo scolio avrebbe dovuto dunque a rigore menzionare Prodico, invece di Senofonte. D’altra parte lo storico Senofonte usa spesso il termine καλοκαγαθία, in un paio di casi insieme ad ἀρετή e presenta un’altra singolare coincidenza con Telesilla nell’uso di δῖνον per indicare l’aia (fr. 723/7 e X., Oec., 18.5). Si può concludere che lo scolio apre uno spiraglio su un canto in cui - come poi in Prodico - veniva descritta Areté insieme a Kalokagathìa, in una versione al femminile del valore.

- Che ama il sole

fr. 718/ 2 (Ath., 14.619b)

In questo frammento conservato da Ateneo sappiamo che il canto di Telesilla si riferisce ad Apollo, una delle divinità interessanti per la città di Argo (αἱ δὲ ἴουλοι καλούμεναι ᾠδαὶ Δήμητρι καὶ Φερσεφόνῃ πρέπουσι. ἡ δὲ εἰς Ἀπόλλωνα ᾠδὴ φιληλιάς, ὡς Τελέσιλλα παρίστησιν).

Ancora alcune precisazioni su Telesilla e la battaglia di Sepeia

Il quadro che le testimonianze fin qui richiamate permettono di ricostruire è quello di una poetessa profondamente immersa nel suo contesto, oltre che profondamente legata a tematiche religiose. Telesilla, come si è detto, è però ricordata in particolare come poetessa-guerriera, condottiera della resistenza argiva al nemico spartano. Pausania, fonte primaria nell’accostamento fra Telesilla e la resistenza di Argo,47 nella sezione della sua Periegesi dedicata alla Corinzia e all’Argolide (II 20, 8-9), descrive una stele con rilievo collocata di fronte alla statua della dea Afrodite (a cui si è fatto cenno precedentemente) nel santuario omonimo situato al di là del teatro di Argo. Sappiamo che i soldati di Cleomene, dopo aver sconfitto in battaglia gli Argivi, si erano diretti ad Argo, convinti di potersi impadronire della città, completamente sguarnita di uomini e Clemente Alessandrino (Strom., IV/19, 120, 3, ed. 2006), in relazione all’episodio, conferma la nota fama di Telesilla:

Si narra anche che le donne di Argo, con Telesilla in testa, volsero in fuga con il loro solo apparire i bellicosi guerrieri Spartani: fu la poetessa a destare in ese il disprezzo della morte. Qualcosa di simile dice anche il poeta della Danaide sulle figlie di Danao: Allora si armarono rapide le figlie di Danao, sulle rive del Nilo dalla bella corrente, fiume potente…

Simili le parole dello Pseudo-Luciano negli Amori:48

Perché a stento anche quelle fra loro che erano reputate eccellenti per l’intelligenza (κατὰ σοφίαν) avrebbero parlato di se stesse con tanto impegno, se qualcuno avesse concesso loro la facoltà di parlare; nemmeno Telesilla, che si schierò contro gli Spartani e grazie a lei, nella città di Argo, Ares è menzionato fra gli dèi protettori delle donne.

Prescindendo da quanto si è richiamato inizialmente su Telesilla e il suo legame antropologico ad Argo, va ricordato che la battaglia di Sepeia,49 combattuta nel 494 a. C. tra Spartani ed Argivi, è raccontata dallo storico Erodoto (V, 76-82), il quale tuttavia non menziona Telesilla. È dunque necessario ammettere che il racconto della salvezza di Argo per mano delle donne potrebbe esser stata una creazione successiva originata dall’esigenza di fornire una spiegazione non tanto storica quanto antropologica di quei celebri fatti (e questo sottolineerebbe l’importanza di cogliere il valore trasgressivo legato al contesto di Argo, al limite anche delle identità sessuali). Come chiarito precedentemente, il dato rituale femminile nel racconto storico dei fatti di Sepeia è stato in primo luogo messo in relazione con l’istituzionalizzazione, nella città, di una quarta tribù, quella degli Hyrnathioi, che prende il nome dalla mitica figlia di Temeno. Più condivisibile, anche in relazione al momento della guerra, è, ancora una volta, l’interpretazione antropologica delle donne di Argo come funzionali per la ritualità degli Ὑβριστικά, menzionata da Plutarco.50 In De mulierum virtutibus (245c), ci informa:

Non meno gloriosa di qualsiasi impresa compiuta dalle donne in comune, il cimento contro Cleomene in difesa di Argo, in cui si impegnarono, sotto l’incitamento della poetessa Telesilla (Τελεσίλλης τῆς ποιητρίας προτρεψαμένης). Dicono che costei, di famiglia illustre e malata fisicamente, mandò a chiedere al dio riguardo alla salute. E che il responso fu di seguire la terapia delle Muse e che, ubbidendo al dio, e dedicatasi al canto e alla musica presto uscì dalla malattia e fu ammirata dalle donne per la sua arte poetica. Quando Cleomene re degli Spartani, uccisi molti (non già, come alcuni favoleggiano citando il numero 7777), marciava contro la città, le donne giovanissime furono prese da impeto e audacia straordinaria nel difender la patria dai nemici: e sotto la guida di Telesilla prendono le armi, e, salite sugli spalti, incoronano - disposte in cerchio - le mura, affinché i nemici restassero di stucco. E finalmente, caduti molti, respinsero indietro Cleomene, e scacciarono l’altro re, Demarato, che già (come narra Socrate) era dentro le mura e teneva in pugno il quartiere Panfiliaco. Essendo così salva la città, seppellirono le donne cadute in battaglia sulla strada argiva, e concessero alle scampate di innalzare in memoria della loro eccellenza la statua di Enialio. Alcuni dicono che la battaglia abbia avuto luogo nel settimo altri nel primo giorno del mese oggi chiamato Quarto e anticamente presso gli Argivi Ermeo. Nel qual giorno gli Argivi, fino ad oggi, celebrano le Feste dell’oltraggio vestendo le donne di chitoni e clamidi maschili e gli uomini di pepli e veli femminili.

A questa versione, o a una fonte comune, forse dallo storico Socrate Argivo, attinge anche Polieno (Strat., 8, 33 Melber, ed. 1970). Il riferimento alle Feste dell’oltraggio, nelle quali la trasgressione identitaria si esprimeva sotto forma di scambio di ruoli sessuali,51 inquadra l’avventura di Telesilla e delle Argive in una tradizione cultuale ancora praticata, come ovvio, ai tempi di Plutarco. Alla rievocazione dell’impresa contro Sparta, Plutarco aggiunge alcune interessanti notizie biografiche sulla nostra poetessa, dicendo che era una giovane di nobile famiglia e di costituzione malaticcia; per ottenere la guarigione si era rivolta agli dei, dai quali aveva ricevuto il consiglio di servire le Muse e, grazie all’obbedienza, era guarita dal suo male, diventando in seguito una poetessa stimata. Queste informazioni lasciano intuire, nel sottofondo del racconto plutarcheo, la presenza di elementi religiosi, che ben si accordano con tutta la figura della poetessa, il cui stesso nome si è ipotizzato fosse un nome professionale parlante di ambito cultuale (cf. τέλεα).52 Da Plutarco si desume l’ubbidienza di Telesilla all’oracolo di Argo, cioè verso Apollo Pythaeus a cui, come si è letto, la poetessa avrebbe fatto riferimento in un suo carme (fr. 791/3 Page, cf. infra). Paus., II, 24, 1 racconta ancora che presso il tempio di Apollo Pythaeus vi è una donna che esercita il ruolo di profetessa, che inoltre si astiene da rapporti con uomini; una notte al mese viene sacrificata un’agnella: la donna, quando ne ha gustato il sangue, è invasata dal dio. In questo passaggio è stata messa in risalto la presenza di un tiaso femminile,53 con un carattere religioso che, rispetto a quello di Saffo, si caratterizzava per un interesse alla politica e alla guerra. Si potrebbe qui cogliere un parallelismo con Saffo (Μοισοπόλον, fr. 150 Voigt), che onorava le servitrici delle Muse, nel nome di Afrodite, mentre in questo caso le giovani telesillee godono soprattutto dell’attenzione di Apollo. Qui si ricalca e avvalora, con tutta la prudenza dell’affermazione, la tesi dell’esistenza di un tiaso speciale (se ha ancora un senso usare questo termine dopo il contributo di Cavallini 1991, p. 676, n. 5) sotto il segno del valore militare, non con la “benedizione” di un’Afrodite erotica, come in Saffo, ma forse di un Afrodito travestito e guerriero, simbolo di una società a rovescio, così radicata ad Argo. Si è già detta l’esistenza, ad Argo, di un gruppo di donne dedite allo scambio dei ruoli legati tradizionalmente al genere e questo riecheggerebbe le caratteristiche delle fanciulle raccolte intorno alla poetessa. Le due divinità di Cipro, forse riconducibili a una stessa immagine, rappresentano l’unione di uomo e donna. Inoltre sia Afrodito che Afrodite hanno un’accezione bellica: Afrodite in una battaglia erotica (si pensi all’invocazione saffica del fr.1 dove si accenna alla parola guerresca “alleata”), Afrodito invece mostra il valore del comando e della guerra con l’esibizione dello scettro, sotto cui le donne offrivano sacrifici travestite da uomini54 (a cui accenna anche Filocoro, quando ricorda che vi erano riti sacrificali dedicati all’Afrodite maschile, in cui si attuava lo scambio delle identità sessuali tramite il travestimento).55 Una parte dei commentatori ha osservato che Orazio nell’ode IV, 656 terminava con delle prescrizioni verso ragazze vergini su canti in onore di Latona, di Apollo, di Artemide e iniziava con il richiamo alla proles Niobea, che per il fr. 721/5 Page abbiamo già posto in relazione alla nostra poetessa.

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2Questo epigramma fa parte della sezione antologizzata da Meleagro (6.262-313) (Cavalli e Guidorizzi 2008) e “di Sidone” è integrato accanto al nome Antipatro già nell’intestazione.

3In Gow e Page 1965, II, p. 76, si precisa che alcuni commentatori hanno interpretato il passo come una richiesta alla dea, invece sembrerebbe indicare un’offerta di questi veli in onore della dea. Inoltre nell’epigramma si fa riferimento a un cambio di acconciatura, e Gow e Page 1965, II, p. 75, nel loro commento, non fanno riferimento all’usanza di rasare i capelli sulla fronte delle spose, ma solo all’atto di sollevarli, perché probabilmente le ragazze portavano un velo fino al giorno del matrimonio, come ci farebbe pensare καλύπτρην del v. 1 di “Archiloco” (AP, 6.133). Nella bibliografia più recente e poco utilizzata in questo contributo in riferimento agli aspetti messi in evidenza, si segnalano Bastianelli 2007, pp. 25-35; Franchi 2012, pp. 207-228; Petracca 2016, pp. 11-32.

5Da leggere imprescindibilmente Ferrari 2007 e Neri 2012, pp. 31-43, il quale nel titolo rimanda proprio al contributo di Ferrari 2007. In quei versi si dovrebbe affermare che Saffo prenderebbe la parola (οἰ δ’ ἔγω) rivolgendosi alla figlia e lamentando l’impossibilità di fornirle una mitra, raccomandandole invece (ἀλλά) di indirizzarsi a qualcosa o a qualcuno di Mitilene. Il motivo del diniego, da me presentato a scopo educativo, è stato interpretato a scopo economico.

9 Paus., II, 20 8-10, ed. 1997 (testimonianza su cui torneremo più volte).

11Vid. Suid., s. v. Τελέσιλλα. La voce del lessico citato è strettamente legata a Paus., II, 20, 8-10. Per una buona vista di insieme sulle opere di Telesilla interessante Capellà Soler 2004, pp. 58-68.

13 Plu., De mul. vir., 245 c-f (= Socr., Arg., 310 F 6 Jacoby) (ed. 2017) si sofferma sulle festività del cosiddetto mondo a rovescio degli Hybristikà, di cui è unica fonte, citata proprio all’interno del paragrafo dedicato alle donne argive. Vid. Stadter 1965, pp. 17-19.

14Sull’oracolo segnalo l’interessante articolo di Piérart 2003, pp. 275-296.

15 Hdt., VI, 77-81, ed. 2006: “Quando vennero a saperlo, gli Argivi correvano al mare per portare aiuto; non appena furono vicini a Tirinto, in quell’area chiamata Sepeia, si accamparono di fronte ai Lacedemoni lasciando poco spazio davanti a loro. Qui gli Argivi non temevano la battaglia, ma temevano di essere presi con l’inganno. Infatti a questo si riferiva per loro l’oracolo che la Pizia aveva espresso, mettendolo a disposizione per loro e per i Milesi, e che recitava così: ʻMa quando la femmina, vinto il maschio, lo avrà ricacciato e guadagni gloria tra gli Argivi, allora costringerà molte donne argive a deturparsi il viso. Così che un giorno dirà anche qualcuno dei posteri: un serpente terribile dalla triplice spira morì domato dalla lanciaʼ. Tutti questi fatti concomitanti mettevano paura agli Argivi; perciò decisero di utilizzare l’araldo dei nemici e, decisolo, si comportavano così: ogni volta che l’araldo spartiata segnalava qualcosa ai Lacedemoni, anche gli Argivi facevano lo stesso. Come Cleomene seppe che gli Argivi facevano qualunque cosa il loro araldo ordinava, annuncia ai suoi che, solo quando l’araldo avesse dato il segnale del pasto, allora prendessero le armi e si lanciassero contro gli Argivi. Questi ordini furono eseguiti dai Lacedemoni: assalirono gli Argivi che consumavano il pasto secondo il segnale dell’araldo, ne uccisero molti e un numero ancora maggiore tenevano sotto scacco, circondandoli dopo che si erano rifugiati nel bosco sacro di Argo. Allora ecco cosa pensò di fare Cleomene: avendo dei disertori e informatosi da costoro, mandò un araldo, che invitava a uscire, chiamandoli per nome, gli Argivi chiusi nel santuario, e li invitava a uscire dicendo di avere il prezzo dei loro riscatti. Per i Peloponnesiaci il riscatto è fissato a due mine da pagarsi per ogni prigioniero di guerra. Essendo dunque usciti una cinquantina di Argivi, richiamati uno ad uno, Cleomene li uccise. Questo fatto sfuggì a quelli rimasti nel recinto sacro —poiché, essendo il bosco fitto, quelli dentro non vedevano che cosa facessero quelli fuori— finché uno di loro, salito su un albero, non ebbe visto quel che accadeva. Allora, benché fossero ancora chiamati ad uno ad uno, non uscirono più. A questo punto Cleomene invitava ciascuno degli Iloti a circondare il bosco di legname e, quando ebbero ubbidito, incendiò il bosco. E mentre già bruciava, chiese a uno dei disertori a quale divinità il bosco appartenesse: quello rispose che era di Argo. Egli, come lo udì, disse ad alta voce: ʻO fatidico Apollo, certo mi ingannasti di molto, dicendomi che avrei preso Argo: credo che per me l’oracolo si sia compiutoʼ. Dopo di ciò, Cleomene congedò l’esercito perché facesse ritorno a Sparta ed egli stesso presi i mille soldati migliori andando al tempio di Era per offrire sacrifici. Ma, volendo sacrificare personalmente sull’altare, il sacerdote glielo impedì, perché non era lecito a uno straniero sacrificare in quel luogo. Cleomene allora ordinò agli Iloti di allontanare il sacerdote dall’altare e di fustigarlo, e compì il sacrificio. Fatto questo, tornò a Sparta”. (trad. Dorella Cianci). Sull’oracolo la fonte più studiata resta Paus., II, 20 8-10 (il quale si sofferma su quando “la femmina vincerà il maschio”, ma precisa: “sia che vada inteso in questo modo, sia che vada inteso altrimenti”, un inciso dubbioso che non concorda nella sostanza con l’interpretazione oracolare di Erodoto. Sull’oracolo vid. Stadter 1965, pp. 47 ss.; si legga anche Solima 1998, pp. 381-417, sull’interpretazione di Era, Artemide e Afrodite come dee legate alla guerra.

17 D. S., X, 26, ed. 1969: “L’invidia dei cittadini verso (chi ha) molto, dapprima nascosta, quando si presentò il momento giusto, scoppiò tutt’ insieme. Per il loro orgoglio resero liberi gli schiavi, preferendo che essi partecipassero alla libertà piuttosto che i liberi alla cittadinanza”.

20Si segnalano altre due presenze poetiche nella città di Argo, di cui una di età ellenistica e l’altra di cui si ignora tutto, tranne il nome, Taliarchid, come si evince nel paragrafo precedente. Vid. De Martino 2006, p. 260. Va anche detto che in Taziano (Ad Gr., 33, 1-3 Marcovich), cristiano di origine siriana, si ricorda un noto inventario di statue dedicate a quattordici poetesse greche, qui compare quella di Telesilla, ma si menziona anche una scultura di Euticrate proprio per una certa Taliarchide (Ad Gr., 33, 1-3 Marcovich). È verosimile che anche questa Taliarchide, forse di età ellenistica, abbia continuato la tradizione femminile argiva, inaugurata dall’illustre concittadina Telesilla. “Cratete comico e Telesilla e Bacchilide lirico erano considerati famosi. Anche Prassilla e Cleobulina sono celebri” (Eus., Chron., 82.2, ed. 1923). Sulle posizioni di Taziano si concorda con Vara Donado 1973, pp. 356-363. Sull’iconografia delle poetesse si veda Linfert-Reich 1971.

21 Eusebio (Chron., 82.2, ed. 1923), la posiziona cronologicamente insieme a Telesilla e a Cleobulina, ma Prassilla, nativa di Sicione potrebbe essere stata un esempio per le altre poetesse che intravediamo nella “figlia dell’Argiva” di Teocrito 15.97, ed. 1930, nelle Siracusane, la cui identità è ignota e affidata alle ipotesi (in preparazione un contributo su Prassilla).

23 Neri 1996, p. 224, ha dedicato molti studi alla poetessa Erinna, qui è citato in particolare per le testimonianze raccolte.

24 Eus., Chron. 82.2, data al 452-451 a. C. non la poetessa stessa, come solitamente si ritiene, bensì quando si diffuse la sua fama (cita inoltre insieme nella stessa serie Prassilla e forse la più anziana Cleobulina); questa datazione escluderebbe ogni possibile partecipazione alla contesa fra Argo e Sparta. Vid. Pizzocaro 1991, p. 94.

28Si riprenderà ancora il tema dell’Afrodite maschio.

30Sono intercalati due volte (vv. 22 e 26) il reiziano ( ≠ _ ≠ ≠ _ _) e una volta (v. 21) il gliconeo pirrichiocefalo ( ≠ ≠ _ ≠ ≠ _ ≠ _). Vid. Gentili 1958, pp. 49-53.

31Sull’inno vid. Maas 1933, col. 1033; cf. anche Pizzocaro 1993.

34Sul culto di Artemide Brauronia si veda Le orsette di Brauron in Guidorizzi 2012, p. 494; vid. soprattutto Brelich 1969, Burkert 2002, pp. 13-27; per una visione completa cf. l’edizione di riferimento Gentili e Perusino 2002. Van Gennep 2012 nel suo saggio afferma che i cosiddetti riti di passaggio celebravano il passaggio dell’uomo o più propriamente della donna, da un gruppo sociale a un altro. Nel dettaglio del culto di Artemide ad Argo cf. Paus. I, 33, 1.

47Per un ulteriore approfondimento sul contesto argivo, già trattato nel corso dell’articolo, segnalo doverosamente dei contributi noti: Piérart 1992; completo anche Angeli Bernardini 2004; Burkert 1998, pp. 47-59.

49Il contributo più esaustivo è quello di Petracca 2017, pp. 11-32, notevolmente utilizzato in questo paragrafo.

51Per altri casi di scambio di costumi, si leggano Frazer 2012; Vidal-Naquet 1983, pp. 191-193.

52Su questo si veda West 1996, p. 19.

54 Macr., Sat. 3.8. Interessante anche la testimonianza relativa ad Afrodite guerriera di Lattanzio, Div. Inst., I, 20, 27-32, secondo cui gli Spartani, dunque ancora in un contesto affine ad Argo, avrebbero dedicato un tempio ad Afrodite guerriera/Afrodite armata. Peone, descrivendo la città di Amatunte, città di Cipro, racconta che Afrodite lì aveva fattezze di uomo (Serv., Ad Virg. Aen., 2.63, ed. 1946).

Received: June 07, 2021; Revised: August 02, 2021; Accepted: August 31, 2021

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Dorella Cianci: è grecista di formazione, con una specializzazione in Storia della Filosofia antica; è dottore di ricerca in Storia dell’educazione, in particolare in relazione al mondo antico. Attualmente è assegnista di ricerca in Storia della Filosofia medievale all’Università LUMSA di Roma e docente di Filosofia dell’Educazione presso la stessa università. Coordina il Master di II livello sulla Formazione e la cultura degli insegnanti cattolici. Fra i suoi interessi di ricerca si segnalano la corporeità e il dialogo socratico nella cultura greca, su cui ha anche pubblicato un saggio nel volume miscellaneo Visualizing the invisible with the human body. Physiognomy and ekphrasis in the ancient world (De Gruyter, Berlino, 2020). Fra le sue pubblicazioni: Il teatro di Dioniso. Vol. 1: La tragedia attica secondo Aristotele. Focus sui tragici minori (Bologna, Diogene, 2019); Il teatro di Dioniso. Vol. 2: L’iconografia aris­totelica (Bologna, Diogene, 2019); Partorire con la testa. Alle origini della maieutica (Venezia, Marsilio, 2018); Corpi di parole. L’ekphrasis e la fisiognomica nel mondo antico (Pisa, ETS, 2014). Ha collaborato con varie pagine culturali italiane di notevole rilievo: “l’Unità”, “la Repubblica” e “la Lettura” del “Corriere della Sera”, in particolare come traduttrice, e ha scritto anche sulle pagine culturali de “Il Sole 24 Ore” in relazione alla cultura e alla filosofia greca. Per “Il Mattino” conduce una rubrica su Ricerca e Università. È direttrice della rivista scientifica “Amica Sofia”, edita da Rubbettino e fondata da Livio Rossetti dell’Università di Perugia; attualmente collabora anche, su temi internazionali, al quotidiano della Santa Sede “L’Osservatore Romano”.

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