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Nova tellus

versión impresa ISSN 0185-3058

Nova tellus vol.28 no.1 Ciudad de México jun. 2010

 

Artículos

 

"Virtute adipisci civitatem" (Nota in margine all'orazione Pro L. Cornelio Balbo)

 

"Virtute adipisci civitatem" (Marginal note to the speech Pro L. Cornelio Balbo)

 

Carlo Venturini

 

Università di Pisa. Correo electrónico: cventurini@interfree.it.

 

Recepción: 17 de febrero de 2010.
Aceptación: 30 de abril de 2010.

 

Riassunto

Analisi della difesa ciceroniana di L. Cornelius Balbus, con nuovi rilievi relativi al tema del processo.

Parole chiave: Pro Balbo, virtutis causa.

 

Abstract

Analysis of the ciceronian defense of L. Cornelius Balbus, with some new remarks about the matter of the process.

Keywords: Pro Balbo, virtutis causa.

 

1. Premessa

Mi sembra che valga la pena di formulare qualche riflessione intorno alla ciceroniana Pro Balbo, relativa ad un processo svoltosi nel 56 a. C. dinanzi alla quaestio che era stata istituita sulla base della lex Papia de peregrinis, rogata all'incirca un decennio prima.1 L'orazione è intessuta, infatti, di motivi meritevoli di venire valorizzati ai fini dell'indagine giuridica e che, evidentemente, in epoca tardo repubblicana erano a tal punto cristallizzati e recepiti nella coscienza comune da venire ritenuti idonei a sostenere un'argomentazione forense non priva, dal canto suo, di una notevole ambiguità, in quanto almeno in parte ispirata, con ogni verosimiglianza, da quella tecnica della deviazione dell'uditorio dal punto centrale della controversia nella quale Cicerone notoriamente eccelleva e che dal retore Rufiniano è configurata come .2

 

2. La 'lex Gellia Cornelia' ed il ruolo del 'consilium'

Sull'imputato L. Cornelio Balbo, che fu assolto3 e che era originario della civitas foederata di Cadice, gravava l'accusa di aver usurpato la cittadinanza romana, la quale, peraltro, risultava dalle publicae tabulae essergli stata conferita da Pompeo quindici anni prima sulla base della lex Gellia Cornelia. Questa, rogata ex senatus consulto nel 72 e, dunque, nell'anno ultimo della guerra contro Sertorio o, probabilmente, dopo la sua conclusione,4 prevedeva

... ut cives Romani sint ii quos Cn. Pompeius de consili sententia singillatim civitate donaverit.5

Era, perciò, diretta in modo esplicito a conferire a Pompeo, già titolare dell' imperium proconsolare in Spagna che il senato, in ortodossa applicazione dell'assetto costituzionale sillano,6 gli aveva conferito nel 77, il potere di civitate donare singoli individui (singillatim) in ragione, evidentemente, di meriti acquisiti nel corso della lunga campagna condotta dalle forze romane nella penisola iberica.

La validità della concessione era, tuttavia, subordinata al conforme parere del consilium: fatto, questo, particolarmente degno di nota. La nomina del consilium medesimo da parte dei titolari dell' imperium corrispondeva, infatti, ad una prassi risalente7 ma —fatto meritevole di segnalazione— in questo caso risulta previsto in modo esplicito non solo il suo formale e necessitato intervento al di fuori della sede più usuale, costituita dai giudizi criminali,8 ma anche, in parziale, analogia con i consilia che operavano in veste di collegi giudicanti nella fase più matura del processo per quaestiones, il deferimento ad esso non di funzioni meramente consultive9 ma di un intrinseco, ancorché indiretto, potere decisionale, suscettibile di estrinsecarsi nel prestare o meno il proprio assenso alla volontà del magistrato, la quale solo nel primo caso avrebbe potuto assumere carattere operativo.10

E' quasi superfluo osservare che ciò si traduceva in una chiara limitazione della prerogativa riconosciuta a Pompeo.

Il dato lascia intravedere una circostanza ulteriore, cioè il legame concettuale della lex Gellia Cornelia con uno schema base più antico, al cui fondo si rinviene, prima di tutto, il collegamento dell'ingresso del nuovo caput nella cittadinanza ad una decisione collettiva dei consociati. In null'altro che in un adattamento di questo schema si risolve, infatti, il ruolo della lex quale ratifica preventiva dell'operato del generale nel campo predetto, provvista di intrinseca efficacia delegatoria.

A sua volta, riesce naturale ascrivere al consilium (la cui prospettazione alla stregua di rappresentanza esponenziale del populus si era consolidata, in epoca coeva, nel settore chiave costituito dai processi criminali delle quaestiones)11 una funzione di controllo destinata ad esplicarsi, caso per caso, in rapporto alle singole attuazioni del potere specifico conferito a Pompeo: il che costituiva una formale innovazione rispetto al già richiamato ruolo consultivo che al consilium era riconosciuto anche nelle particolari quaestiones di carattere non permanente istituite negli anni di poco successivi alla lex Sempronia de capite civis del 123.12

Alla base della lex Gellia Cornelia può, dunque, venire colto un adattamento del principio ravvisabile nella pur mediata competenza della civitas ad autonormarsi in rapporto all'acquisto di nuovi membri: principio, questo, che consente ancora di valutare la legge in questione come momento evolutivo e come adattamento della pratica anteriore della concessione della cittadinanza tramite provvedimenti legislativi ad personam.13

 

3. L' 'exemplum' di C. Mario: la 'Pro Balbo'....

Diviene, a questo punto, giocoforza valutare alla luce dei rilievi finora svolti l'ulteriore assunto ciceroniano secondo cui, mentre il virtute adipisci civitatem (Cic. Balb. 41), ovvero la concessione della cittadinanza come praemium virtutis, costituiva uno strumento indispensabile per incoraggiare il concorso di elementi stranieri ad nostrorum bellorum pericula (Cic. Balb. 26), l'opportunità che restasse aperta ex omnibus civitatibus ... via in nostram (Cic. Balb. 29) era da valutare al livello di generale esigenza: la relativa affermazione rappresenta, infatti, lo sbocco del più specifico argomentare secondo cui il praemium doveva ritenersi suscettibile di venire concesso ai foederati (tra i quali rientravano i membri della civitas Gaditana, patria d'origine di L. Cornelio Balbo) a motivo della sua generalizzata e pacifica accessibilità sia stipendiariis, sia hostibus, sia, infine, persaepe servis.

Qui è, peraltro, da rilevare che l'oratore gioca, in una certa misura, sull'equivoco, lasciando in ombra le concrete modalità delle concessioni virtutis causa ed il loro carattere peculiare per limitarsi a parlare, in modo piuttosto vago (e, si deve pensare, volutamente ambiguo) di stipendiarii ex Africa, Sicilia, Sardinia, ceteris provinciis .... civitate donat[i], di disertori dal campo nemico qui .... magno usui rei publicae nostrae fuissent e di servi .... bene de re publica meriti, i quali persaepe libertate, id est civitate, publice donari videmus (Cic. Balb. 24: cf. 41), dove l'assimilazione ai casi precedenti si fonda sull'avverbio publice, idoneo a separare, per implicito, l'ultima ipotesi contemplata dalle manumissiones poste in atto dai domini, che solo la successiva pubblicistica del Principato mirerà a ricondurre entro una parzialmente affine cornice concettuale modellata sulla virtus.14

Colpisce, d'altra parte, il fatto che la difesa dell'imputato muove da una premessa giuridica obiettivamente malsicura, ossia ravvisando, con una certa disinvoltura, nei comandanti militari i più accreditati ed autorevoli interpretes de foederibus et de toto iure pacis et belli (Cic. Balb. 45), per valutare su questa base quello che viene presentato come exemplum basilare in materia.

Trattasi dell'operato di C. Mario, il quale, durante la guerra cimbrica, aveva concesso la cittadinanza sia a M. Annio Appio di Gubbio, definito vir fortissimus <summa> virtute praeditus e del quale null'altro sappiamo, sia a due intere coorti Camerti, appartenenti ad una collettività che, al pari di Cadice, era legata a Roma da un foedus (Cic. Balb. 46).

Sta di fatto però che, lasciando da parte per adesso questo particolare, l' exemplum mariano chiamato in causa per difendere l'operato di Pompeo (ossia per far leva sull'auctoritas senz'altro riconosciuta al condottiero suo concittadino: Cic. Balb. 49) era, in realtà, assai controverso. Ciò è tanto vero da suggerire a Cicerone di chiamare in causa, per suffragarlo, il diverso caso della concessione della cittadinanza, ancora ad opera di C. Mario, a tal T. Matrinio, nativo di Spoleto, nel contesto delle deduzioni coloniarie promosse dalla lex Appuleia agraria,15 giustificando l'assoluzione conseguita dal personaggio16 mediante un nuovo appello (stavolta davvero fuori posto) al medesimo principio, specificato nell'inopportunità di sottrarre imperatoribus nostris in bello, in acie, in exercitu dilectum virtutis, nonché sociis .... spem praemiorum (Cic. Balb. 59).

 

4...... e le altre fonti relative

Riesce spontaneo, a questo punto, prendere atto dell'imbarazzo ciceroniano, che trova significativa corrispondenza nella tradizione relativa all'operato di Mario.

Secondo la testimonianza di Plut. Mar. 28, 2, infatti,

egli sarebbe stato costretto a far ricorso,

al discutibile argomento secondo cui

Più chiaro ancora è Val. Max. 5, 2, 8, dove si narra che il condottiero

duas .... Camertium cohortes in ipsa acie adversus condicionem foederis civitate donavit. Quod quidem factum et vere et egregie excusavit dicendo, inter armorum strepitum verba se iuris civilis exaudire non potuisse. Et sane id tempus tunc erat, quo magis defendere quam audire leges oportebat.

E' chiaro, dunque, che l'iniziativa di C. Mario era stata oggetto di censura. La circostanza non derivava, peraltro, dalla condicio foederis, secondo la confusa versione di Valerio Massimo volta alla ricerca di un dato giuridico ravvisato in non ben chiari verba iuris civilis, bensì, con ogni probabilità, dalla mancanza di un provvedimento legislativo autorizzatorio: dato, questo, che trova conferma proprio nell'ambiguità dell'accenno ciceroniano, ossia nel fatto che l'oratore si sforza di passare sotto silenzio la lacuna formale, a tal punto da prospettare (Cic. Balb. 48), inesattamente, la concessione della quale beneficiarono i Camerti come operata a populo Romano.

Il collegamento tra concessioni mariane e lex Gellia Cornelia si specifica, dunque, in modo opposto rispetto a quello preteso da Cicerone, ossia nel senso che l'operato di Mario sollevò una reazione tale da condurre, da allora in poi, al subentrare di una legislazione diretta a circoscrivere, per implicito, i poteri dei comandanti militari in questo campo, collegandoli al tradizionale principio che subordinava la concessione della cittadinanza ad apposito iussum populi,17 nonché affiancando alla novità costituita dal carattere preventivo ed autorizzatorio di quest'ultimo il correttivo ulteriore identificabile nel conforme parere del consilium.

La circostanza è tanto vera che, al termine della guerra sociale, la lex Iulia de civitate Latinis et sociis danda del 9018 rese oggetto di norme particolari le concessioni di cittadinanza virtutis causa, come emerge da un noto testo epigrafico concernente, appunto, l'assegnazione del beneficio a contingenti extraitalici.19

Tutto ciò suggerisce una parziale revisione delle idee in materia espresse dal Mommsen, il quale, mentre riteneva che le concessioni di cittadinanza ad intere collettività non potessero aver luogo, in epoca repubblicana, altro che "durch unmittelbaren Act der souverànen Volksgemeinde", configurò quelle individuali come espressioe, generalmente, di una "mittelbare Verleihung", in quanto autorizzate, nei due soli casi dei magistrati incaricati della fondazione di colonie e dei comandanti militari, da una "Spezialgesetz", il cui intervento, nel caso di C. Mario, pensò che dovesse essere, di necessità, presupposto.20

Come abbiamo visto, questa regola si affermò invece solo in epoca successiva e proprio come reazione all'operato di C. Mario, tradottosi in un exemplum non viziato, per l'assenza di una precisa disciplina normativa in materia, da illegittimità e riconducibile, forse, ad una tradizione più antica ma ritenuto, comunque, estraneo ai coevi principi affermatisi in ambito costituzionale.

 

5. 'Iudicum praemia'

Un punto ulteriore è adesso da accennare, cioè il richiamo della acerbissima lex Servilia che aveva concesso latinis, id est foederatis l'acquisto della cittadinanza per effetto dell'esercizio vittorioso dell'accusa criminale.21

Dal passo l'opinione più diffusa desume che una delle due leges Serviliae22 rogate tra il 106 ed il 100 avrebbe ristretto ai Latini l'esercizio dell'accusa nei processi repetundarum,23 eliminando la generale legittimazione dei non cittadini disposta dalla legge graccana conservataci nelle Tavole Bembine.24

Interessa, tuttavia, in questa sede sottolineare due circostanze.

La prima è rappresentata dalle particolari modalità del richiamo, nel cui corso Cicerone, interessato soprattutto a porre in evidenza il possibile acquisto della cittadinanza da parte di foederati, si preoccupa di sottolineare il carattere, in un certo senso, meno nobile degli iudicum praemia rispetto agli iudicia imperatorum, osservando come

genus ipsum accusationis et nomen et eius modi praemium quod nemo adsequi posset nisi ex senatoris calamitate neque senatori neque bono cuiquam nimis iucundum esse posset (Cic. Balb. 54).

La seconda può cogliersi nel carattere, con probabilità, non troppo frequente delle concessioni ricordate, in effetti rese oggetto di menzione con riferimento a due soli casi: circostanza, questa, che permette di ricondurre entro limiti piuttosto ristretti, pur tenendo conto dei rilievi avanzati al riguardo dal Ferrary,25 il richiamato modo di acquisto della cittadinanza e di ritenere, dunque, che la regola risalente alla legge graccana abbia avuto un'applicazione, tutto sommato, esigua, finché non venne eliminata del tutto nell'ordinamento sillano.26

Tutto ciò conduce ad una conclusione obbligata, cioè a rilevare il carattere assorbente che la concessione virtutis causa venne ad assumere sul piano ideologico e che si trova riflesso nell'episodio descritto in Diod. 37, 18.27

Essa formò in tal modo, con ogni verosimiglianza, l'antecedente storico e la base concettuale delle sempre più frequenti concessioni imperiali a veterani, a militari in servizio e, infine, ai peregrini arruolati, concessioni che, verosimilmente, contribuirono in misura decisiva all'estensione della cittadinanza nell'epoca anteriore alla Constitutio Antoniniana.28

 

6. Un chiarimento circa il tema processuale

Resta da chiarire il punto al quale abbiamo accennato in apertura, cioè la manovra oratoria posta in atto da Cicerone.

Osservo, dunque, come il fatto che l'oratore dedichi i propri sforzi a contestare l'inapplicabilità, affermata dal promotore del giudizio, della lex Gellia Cornelia ad una civitas foederata si presenti, in buona sostanza, sconcertante, se è vero che la legge non poteva non contemplare proprio i socii, cioè fare riferimento ai contingenti di città federate che avessero partecipato alla guerra condotta da Pompeo per propria scelta o per obbligo imposto dal foedus.

Il punto centrale, però, stava probabilmente proprio in ciò che Cicerone cerca di passare sotto silenzio, ossia nel fatto che la civitas Gaditana, forte dell'autonomia riconosciutale (Cic. Balb. 19-24; 38), non aveva deliberato di intervenire con proprie truppe nelle ostilità in corso nella penisola iberica.

La partecipazione di Balbo aveva dunque avuto luogo, in definitiva, a titolo individuale.

A ciò si aggiunga che non è dato riscontrare, in tutto il corso dell'orazione, alcun accenno ad interventi di lui in particolari fatti d'arme, idonei a giustificare la concessione: alquanto generici risultano, infatti, gli accenni contenuti in Cic. Balb. 5.

Se una tale impressione è nel vero, si deve supporre che i meriti bellici del personaggio fossero rimasti circoscritti, in ultima analisi, nell'essersi collocato al seguito di Pompeo, senza militare in specifici reparti combattenti e derivando, quindi, la qualifica di socius non già dall'inquadramento nelle alae sociorum ma dalla semplice appartenenza ad una civitas foederata.29

Su questa base poggiava, con ogni verosimiglianza, l'accusa, la quale non si estendeva alla contestazione a Pompeo di un illecito (il che avrebbe comportato non una generica censura, bensì un formale atto d'accusa relativo ad un'iniziativa in rapporto alla quale la lex Gellia Cornelia aveva riconosciuto al comandante una discrezionalità sottoposta solo al conforme parere del consilium)30 ma faceva leva sul tenore della legge per pervenire ad un'argomentazione intorno al rapporto tra foederati e socii, suscettibile di colpire solo indirettamente Pompeo, il quale, d'altra parte, non aveva mancato di intervenire di persona nel processo ma si era limitato a disquisire de iure, .... de memoria maiore de exemplis, .... de foederibus, .... de bellis, .... de re publica (Cic. Balb. 51).

Nella sostanza delle cose, tuttavia, il tema che il processo finiva per investire concerneva un uso intrinsecamente forzato e, in definitiva, abusivo da parte del condottiero dei poteri riconosciutigli dalla lex Cornelia medesima, cioè, in pratica, una concessione di cittadinanza non conseguente ad un'oggettiva ed apprezzabile attività militare dell'interessato ma ispirata da favore, di eminente natura politica, nei confronti di un autorevole esponente della collettività foederata di Cadice.

In questo senso credo debba essere inteso il conclusivo rilievo ciceroniano secondo cui il collegio era chiamato a giudicare

non de maleficio L. Corneli, sed de beneficio Cn. Pompei (Cic. Balb. 65),

mentre la considerazione del Mommsen secondo cui, nelle concessioni di cittadinanza virtutis causa, si tenne sempre meno conto del merito acquisito nell'ambito militare, che, pure, costituiva il loro fondamento31 può, forse, apparire troppo generalizzante ma trova, credo, oggettiva giustificazione nella pro Balbo.

 

Notas

1 La legge (L. Lange, Römische Arterthümer, II3, Berlin, 1879, pp. 686 s.         [ Links ]; III2 Berlin, 1876, pp. 229 s.; G. Rotondi, Leges publicae populi Romani [Estr. da "Enciclopedia Giuridica Italiana"], Milano, 1912, p. 376) è         [ Links ], infatti, databile con sicurezza al 65 a. C. (T. R. S. Broughton, The Magistrates of the Roman Republic, Cleveland, Ohio, 1951, II, p. 159) ed era diretta,         [ Links ] sembra, principalmente contro i Transpadani: cf., in particolare, E. Gruen, The Last Generation of the Roman Republic, Berkeley, Los Angeles, London, 1974, pp. 410 s.         [ Links ] Prevedeva peraltro, in via generale, una specifica procedura ad eos coercendos qui temere et inlicite civitatem Romanam usurpassent (Schol. Bob. 175 Stangl), usufruendo di una registrazione nelle liste dei cittadini viziata da illegalità o forzature. Le caratteristiche del giudizio non ci sono del tutto note. E' certo, comunque, che esso si svolgeva dinanzi ad un praetor e ad un collegio di iudices nelle forme di una quaestio non permanente (sono rimaste isolate sia l'opinione di A. H. J. Greenidge, The Legal Procedure of Cicero's Time, Oxford, 1901, p. 425,         [ Links ] il quale sostenne la creazione di una quaestio perpetua, sia il punto di vista di R. Gardner, Cicero. The Speeches Pro Caelio, De provinciis consularibus, Pro Balbo, London, 1965, p. 619,         [ Links ] secondo cui "Balbus' case must have been brought up before one of the quaestiones perpetuae. The most likely one is the quaestio de maiestate") e che prevedeva la presidenza di un praetor (Cic. Arch. 3) o di uno iudex quaestionis (Cic. Balb. 52: Th. Mommsen, Römisches Strafrecht, Leipzig, 1899, p. 859,         [ Links ] nt. 2 = Le droit pénal romain, trad. J. Duquesne, Paris, 1907, III, p. 187,         [ Links ] nt. 1; W. Kunkel, vc. Quaestio, in "RE", XXIV, 1963, 739 = Kleine Schriften,         [ Links ] Weimar, 1974, p. 55;         [ Links ] B. Santalucia, Diritto e processo penale nell'antica Roma2, Milano, 1998, p. 140),         [ Links ] nonché l'intervento di un collegio di iudices (Cic. Balb. 49, 52, 56; ad Att. 4, 18, 4). Si ritiene che potesse (circostanza tale da costituire il suo aspetto più peculiare) venire attivata anche da non cittadini, come sembrerebbe provato dal fatto stesso che il giudizio (i cui dati essenziali si trovano in M. C. Alexander, Trials in the Late Roman Republic 149 BC to 50 BC, Toronto, Buffalo, London, 1990, p. 135,         [ Links ] nr. 276: per maggiori dettagli restano attuali A. W. Zumpt, Der Criminalprocess der römischen Republik, Leipzig, 1871, p. 536;         [ Links ] W. Drumann-P. Groebe, Geschichte Roms, V2, Leipzig, 1919, p. 696, s.         [ Links ] ed. E. Ciaceri, Cicerone e i suoi tempi, II2, Milano, Genova, Roma, Napoli, 1941, 106 ss.         [ Links ]) fu promosso da un gaditano, il quale aveva, in precedenza, subito condanna. Questa aveva avuto luogo, forse, in relazione al medesimo esercizio abusivo della cittadinanza romana da lui contestato a L. Cornelio Balbo, illecito che il Mommsen, in un primo tempo, considerò colpito da sanzioni di tipo "criminell und selbst capital" (Romisches Staatsrecht3, III, Leipzig, 1887, p. 200 = Le droit public romain,         [ Links ] trad. P F. Girard, VI.1, Paris, 1889, p. 225),         [ Links ] mutando successivamente il proprio pensiero (Strafrecht, cit., p. 204 = Droit pénal romain, cit., pp. 236 s.). Sulla titolarità dell'accusandi potestas (Cic. Div. in Caec. 54: sul tema si vedano i rilievi di P. Cerami, 'Accusatores populares', 'delatores', 'indices'. Tipologia dei "collaboratori di giustizia" nell'antica Roma, in "Annali Palermo", XLV.1, 1998, pp. 148 ss.         [ Links ]) da parte del personaggio e, quindi, sulle sue "quasi-magistratische Befugnisse" (H. F. Hitzig, Die Herkunft des Schwurgerichts im römischen Strafprozess, Zurich, 1909, p. 24),         [ Links ] collegata al riconoscimento del ruolo formale di accusator, si giustifica, tuttavia, qualche incertezza.

2 C. Halm, Rhetores Latini minores, Lipsiae, 1863, p. 12 : est ... iudicis a re contraria nobis avocatio, in quanto, mediante essa....... ab eo, quod contra nos est, avocatur et suspenditur iudex vel coniuncta rerum multitudine implicatur .... Cf. anche Quint. Inst. Or. 4, 2, 16.

3 Drumann-Groebe, Geschichte Roms, II2, Leipzig, 1902, pp. 514 s.         [ Links ]; F. Münzer, vc. Cornelius (nr. 69), in "RE", IV. 1, 1900, pp. 1260 ss.         [ Links ]

4 Mommsen, Staatsrecht3, cit., III, p. 135, nt. 5 = Droit public romain, VI.1, cit., p. 151, nt. 7.

5 Cic. Balb. 19. Che il testo della legge (Rotondi, Leges publicae, cit., p. 367; F. de Martino, Storia della costituzione romana, III2, Napoli, 1973, p. 151;         [ Links ] Gruen, Last Generation, cit., pp. 36 s.) contenesse una qualche ambiguità sembra potersi dedurre dal precedente rilievo ciceroniano secondo cui nascitur ... causa Corneli ex ea lege quam L. Gellius Cn. Cornelius ... tulerunt: cf., in tal senso, V. Angelini, Riflessioni sull'orazione Pro L. Cornelio Balbo, in "Athenaeum", NS, LXVIII, 1980, pp. 360 ss.         [ Links ]; 368 ss.

6 Il quale, dopo la restaurazione della tribunicia potestas nel 70, risultò superato in seguito all'incarico, patrocinato da Cicerone, al medesimo personaggio della conduzione delle ostilità contro Mitridate in seguito a conferimento operato dal concilium plebis: cf. Appunti sull'orazione 'Pro lege Manilia', in "Studi in onore di V. Palazzolo", Milano, 1986, pp. 803 ss.         [ Links ]; 811 ss.

7 Mommsen, Staatsrecht3, cit., I, pp. 311 ss. = Droit public romain, I, Paris, 1892, pp. 356 ss.

8 Sul tema basterà fare rinvio a 'Quaestiones ex senatus consulto', Napoli, 1984, pp. 54 ss.         [ Links ]; 'Quaestio extra ordinem', in "SDHI", LIII, 1987, pp. 75 ss.         [ Links ]; 'Quaestiones' non permanenti: problemi di definizione e di tipologia, in A. Burdese (cur.), Idee vecchie e nuove sul diritto criminale romano, Padova, 1988, pp. 90 ss.         [ Links ]; Il 'civis' tardo repubblicano tra 'quaestiones' e 'iudicia populi', in F. Milazzo (cur.), 'Praesidia libertatis'. Garantismo e sistemi processuali nell'esperienza di Roma repubblicana (Atti Copanello 7-10 giugno, 1992), Napoli, 1994, pp. 104 ss.         [ Links ] = Processo penale e società politica nella Roma repubblicana, Pisa, 1996, pp. 126 ss.         [ Links ]; 160 ss.; 211 ss.; 304 ss., dov'è approfondito, in particolare, il ruolo del consilium anche nel caso in cui, in talune particolari ipotesi rientranti nell'ambito della giurisdizione, esso era nominato dall'inquirente, senza concorso tra accusatore ed imputato. Con riferimento al consilium in veste di "Kriegsrath", cf. Mommsen, Staatsrecht?, cit., III, pp. 1166 s. = Droit public romain, cit., VII, Paris, 1891, pp. 386 s.

9 Si vedano, sul punto, i giusti rilievi di D. Mantovani, Il problema d'origine dell'accusa popolare. Dalla "quaestio" unilaterale alla "quaestio" bilaterale, Padova, 1989, p. 53 e nt. 134.         [ Links ]

10 Potere che mi sembra corretto definire "indiretto" in quanto, a differenza di quanto accadeva nei processi delle quaestiones perpetuae e delle quaestiones non permanenti della tarda Repubblica, il consilium si esprimeva su una previa proposta del magistrato.

11 Sulla circostanza, che emerge con chiarezza dal tenore di Cic. Verr. 1, 38; Cluent. 159; Rab. Post. 11-12, cf. 'Civis' tardo repubblicano, cit., pp. 97 ss. = Processo penale e società politica, cit., pp. 300 ss.

12 Ciò mi è sembrato di poter sostenere in rapporto alla quaestio de incestu virginum Vestalium del 114 istituita dalla lex Peducaea (Rotondi, Legespublicae, cit., p. 321; Gruen, Roman Politics and the Criminal Courts, 149-78 B.C., Cambridge, Massachusetts, 1968, pp. 127 s.         [ Links ]; Mantovani, Accusa popolare, cit., pp. 227 ss.) e, a mio avviso, la circostanza può essere colta anche nelle quaestiones che nelle fonti sono denominate extra ordinem, le quali, secondo la ricostruzione da me proposta, prevedevano la nomina da parte dell'inquirente del consilium destinato ad assisterlo od a provvedere all'emanazione della sentenza: cf. 'Quaestio extra ordinem', cit., pp. 88 ss.; 'Quaestiones' non permanenti, cit., pp. 90 ss. = Processo penale e società politica, cit., pp. 175 ss.; 211 ss., cui (201 ss.) rinvio anche per una replica alle obiezioni mossemi da Santalucia, Processi "fuori turno" e 'quaestiones extra ordinem', in "Collatio iuris Romani. Études dediées à H. Ankum", Amsterdam, 1995, II, pp. 437 ss.         [ Links ] Cf. anche 'Consules praesidebant' (Nota ad Ascon. 60 Clark = 49 Stangl), in "Iuris vincula. Studi in onore di Mario Talamanca", VI, Napoli, 2001, pp. 317,         [ Links ] nt. 46, e 318, nt. 48.

13 Esemplare in materia è il caso della concessione della cittadinanza alla sacerdotessa Callifane di Elea (Rotondi, Leges publicae, cit., p. 334), ricordato in Cic. Balb. 55: cf. però Mommsen, Staatsrecht3, cit., III, p. 134 = Droit public romain, VI.l, cit., pp. 149 s., dove, viceversa, è negata validità, con sfiducia motivata, verosimilmente. dall'alta risalenza del fatto narrato, alla notizia (Liv. 3, 29, 6) secondo cui, nel 458, L. Mamilio Tusculano adprobantibus cunctis civitas data est (Liv. 3, 29, 6), e sono parimenti ricordate la testimonianza (Liv. 27, 5, 7) secondo cui nel 210 (Rotondi, Leges publicae, cit., p. 257) il cartaginese Muttines ... civis Romanus factus rogatione ab tribunis plebis ex auctoritate patrum ad plebem lata, ponendo in evidenza la costante esigenza del voto popolare ai fini della concessione di cittadinanza.

14 Dion. Hal. 4, 23-24, intorno al quale rinvio a Sulla legislazione augustera imateria di "manumissiones", in "Sodalitas. Scritti in onore di A. Guarino", VI, Napoli, 1984, pp. 2456 ss.         [ Links ]

15 La quale, rogata nel 100, anno del tribunato di L. Appuleio Saturnino (Rotondi, Leges publicae, cit., p. 331; Broughton, Magistrates, cit., I, p. 575) , aveva, sì, concesso a C. Mario ut in singulas colonias ternos civis Romanos facere posset (Cic. Balb. 48) ma non aveva, poi, ricevuto concreta applicazione (F. Reduzzi Merola, Iudicium de iure legum. Senato e legge nella tarda Repubblica, Napoli, 2001, pp. 29 ss.         [ Links ]; 39): la concessione si presentava, quindi, sicuramente irrituale. Sul tema cf. anche A. N. Sherwin White, The Roman Citizenship2, Oxford, 1973, pp. 292 ss.         [ Links ]

16 Alexander, Trials, cit., p. 46, nr. 89.

17 Locuzione che appare la più significativa nell'ambito delle definizioni della lex rogata: cf. i rilievi formulati, al riguardo, da F. Serrao, vc. Legge (diritto romano), in "Enciclopedia del diritto", XXIII, Milano, 1973, pp. 839 ss.         [ Links ] = Classi partiti e legge nella repubblica romana, Pisa 1974, 105 ss.         [ Links ]

18 Rotondi, Leges publicae, cit., p. 338; Gruen, Roman Politics, cit., p. 222; De Martino, Storia, cit., II2, Napoli, 1973, pp. 90 s. Cf. E. Badian, Foreign Clientelae (264-70 B.C.), Oxford, 1958, p. 234 e W.         [ Links ] Kunkel-R. Wittmann, Staatsordnung und Staatspraxis der römischen Republik, München, 1995, p. 434,         [ Links ] nt. 151.

19 FIRA, I2, Florentiae, 1968, pp. 165 s. (nr. 17), dove il conferimento della cittadinanza romana virtutis causa a trenta cavalieri ispanici in castreis apud Asculum è prospettato come operato ex lege Iulia, la quale, sembra, richiedeva anch'essa (Broughton, Magistrates, cit., II, p. 25) che la concessione avesse luogo de consili sententia, in ciò anticipando quanto disposto dalla lex Gellia Cornelia. Specifiche previsioni erano sicuramente contenute anche nella lex Calpurnia de civitate sociorum dell'89 (Rotondi, Leges publicae, cit., p. 340; Broughton, ibid., pp. 33 s.; De Martino, Storia, III2, cit., pp. 53 s.), come si deduce dal fragm. 120 delle Historiae di Sisenna (H. Peter, Historicorum Romanorum Reliquiae, I, Stutgardiae, 1967, p. 292).         [ Links ]

20 Staatsrecht3, cit., II, p. 890; III, pp. 134 s. = Droit public romain, cit., V, Paris, 1896, p. 168; VI.1, cit., pp. 150 s.

21 Cic. Balb. 53-54. In relazione ai processi ivi accennati si veda Alexander, Trials, cit., p. 171 (nr. 357 e nr. 358), con citazione bibliografica.

22 E' controverso se identificabile con la lex Servilia Caepionis oppure con la lex Servilia Glauciae: cf. i miei Studi sul "crimen repetundarum" nell'età repubblicana, Milano, 1979, pp. 33 s.         [ Links ], nt. 124.

23 Il Serrao, Appunti sui "patroni" e sulla legittimazione attiva all'accusa nei processi "repetundarum", in "Studi in onore di P De Francisci", II, Milano, 1954, 490,         [ Links ] e vc. "Repetundae", in "Nov. D. I.", XV, Torino, 1968, p. 459 = Classi partiti e legge,         [ Links ] cit., pp. 217; 262 pensa che la lex Servilia Glauciae avesse ammesso di nuovo all'esercizio dell'accusa i Latini, dopo che questo diritto era stato sottratto a tutti, indistintamente, i non cittadini dalla lex Servilia Caepionis. Questa opinione ho anch'io condiviso: cf., oltre a Studi, loc. ult. cit., 'Quaestiones' non permanenti, cit., pp. 105 ss. = Processo penale e società politica, cit., pp. 226 s. Debbo dire, però, che mi riescono convincenti talune considerazioni di J.-L. Ferrary, 'Patroni' et accusateurs dans la procédure 'de repetundis', in "Revue Historique de Droit Francais et Étranger", LXXVI, 1998, p. 43,         [ Links ] ad avviso del quale la medesima legge avrebbe legittimato all'accusa gli Italici in genere e gli esempi addotti nella Pro Balbo sarebbero stati scelti per semplici motivi di opportunità.

24 LL. 76-77: Mommsen, Gesammelte Schriften, I, Berlin, 1904, pp. 44 s.         [ Links ] = FIRA, I2, cit., p. 101: cf., peraltro, i più recenti A. Lintott, Judicial reform and land reform in the Roman Republic. A new edition, with translation, of the laws from Urbino, Cambridge, 1992, pp. 108;         [ Links ] 164 s., e M. H. Crawford, Roman Statutes, I, London, 1996, pp. 71 s.         [ Links ]; 109 s.

25 Supra, nt. 23.

26 II Mommsen collegò la corcostanza alla propria tesi relativa alla specificità dello iudicium publicum propria del relativo processo (cf., in particolare, i richiami indicati in Processo penale e società politica, cit., pp. 35 ss., ntt. 67; 68; 71; 72), in aderenza ad una prospettiva che oggi può ritenersi superata. Sul tema specifico cf. Mantovani, Accusa popolare, cit., pp. 118 ss.; 151 ss., ed il miei 'Quaestio' e 'multae petitio' nella 'lex Ursonensis', in "Minima Epigraphica et Papirologica", I, 1998, pp. 94 ss.         [ Links ], e 'Quaestiones perpetuae constitutae', in "Societas-Ius. Munuscula di allievi a F. Serrao", Napoli, 1999, pp. 390 ss.         [ Links ]; 402 = "Iura", XLVIII, 1997 (pubbl. 2002), pp. 10 ss.; 21, mentre l'origine dell'accusa popolare ho discusso in Il processo accusatorio romano tra punti fermi e problematiche aperte, in "Scritti in onore di A. Cristiani", Torino, 2001, pp. 775 ss.         [ Links ] = "Seminarios Complutenses de derecho romano", XIV, 2002, pp. 195 ss.         [ Links ] Da segnalare il punto di vista del Ferrary, 'Patroni' et accusateurs, cit., p. 45, il quale ha posto la restrizione del diritto di accusa ai cives Romani in rapporto di concomitanza con l'intento "d'abolir, avec le droit des alliés à introduire eux-mêmes l'accusation, ces praemia intolérables qu'avait institué C. Gracchus": argomento, questo, sul quale è da fare rinvio, in generale, a G. Luraschi, Il "praemium" nell'esperienza giuridica romana, in "Studi in onore di A. Biscardi", IV, Milano, 1983, pp. 271 ss.         [ Links ]

28 Mommsen, Staatsrecht3, cit., II, pp. 891 ss. = Droit public romain, IV, Paris, 1896, pp. 168 ss.: cf. le mie considerazioni in 'Latini facti', 'peregrini' e 'civitas': note sulla normativa adrianea, in "Studi in memoria di G. Impallomeni", Milano, 1999, pp. 476 ss.         [ Links ] = "BIDR", XCVIII-XCIX, 1997 (pubbl. 2003), pp. 240 ss.

29 Circostanza, questa, già opportunamente evidenziata da Angelini, Riflessioni, cit., pp. 365 ss.

30 Né l'oratore trascura di evidenziare questa intrinseca lacuna dell'impianto accusatorio: .... Cn. Pompei beneficium vel potius iudicium et factum uinfirmare conaris........? (Cic. Balb. 51).

31 Staatsrecht3, cit., III, p. 135 = Droit public romain, cit., VI.1, pp. 151 s.

 

Información sobre el autor

Carlo Venturini, doctor en Letras Clásicas y doctor en Derecho, es profesor en la Facultad de Derecho de la Universitá di Pisa, y estudioso del derecho romano público y privado.

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