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Nova tellus

versão impressa ISSN 0185-3058

Nova tellus vol.28 no.1 Ciudad de México Jun. 2010

 

Artículos

 

La distinzione tra "problemi" e "teoremi" nel dibattito tra i matematici dell'Accademia

 

The Distinction between the "Problems" and the "Theorems" among the Mathematicians of the Academy

 

Piero Tarantino

 

Universidad de Bari. Correo electrónico: pierotarantino@alice.it.

 

Recepción: 12 de marzo de 2010.
Aceptación: 24 de mayo de 2010.

 

Riassunto

Nel Commento al I libro degli Elementi di Euclide Proclo fornisce un resoconto del dibattito, avvenuto nell'Accademia di Platone, a proposito della natura delle proposizioni matematiche. La controversia è incentrata sulla distinzione tra problemi e teoremi: gli uni riguardano la produzione e la costruzione delle figure, gli altri enunciano gli attributi e le proprietà degli oggetti geometrici. Secondo Proclo tutte le proposizioni matematiche erano denominate "teoremi" da Speusippo e Anfinomo e "problemi" da Menecmo e dai matematici appartenenti alla sua scuola. L'origine e le ragioni di questo significativo dibattito sono oscure, soprattutto a causa della mancanza di ulteriori notizie nel commentario di Proclo. Nel presente contributo mi propongo di chiarire la controversia all'interno dell'Accademia, prendendo in considerazione una serie di testimonianze sui contenuti ed in particolare sui metodi risalenti alla prima fase della matematica greca. In questo modo provo a contestualizzare la questione sullo statuto delle proposizioni matematiche nella più ampia cornice dello sviluppo del modello assiomatico e deduttivo, finalizzato all'organizzazione sistematica dei contenuti geometrici ed aritmetici. Le posizioni alternative, sostenute rispettivamente da Speusippo e Anfinomo e dalla scuola di Menecmo, appaiono di conseguenza la difesa di differenti, ma non conflittuali, momenti del lavoro matematico, cioè la fase della scoperta e la fase della dimostrazione. Da una parte Speusippo e Anfinomo sostengono l'emergente sistemazione deduttiva delle proposizioni matematiche, nella quale i teoremi sono derivati da principi non provati. Dall'altra Menecmo e i suoi allievi mirano a preservare la funzione euristica dei problemi, il cui contributo è preliminare ad un'esposizione assiomatica e formale dei contenuti scoperti.

Parole chiave: problemi, teoremi, Accademia, Proclo, Euclide.

 

Abstract

In his Commentary of the First Book of Euclid's Elements Proclus gives an account of a debate in Plato's Academy about the nature of mathematical propositions. The core of the controversy is the distinction between problems and theorems, the former pertaining to the generation and the construction of figures, the latter concerning attributes and properties of geometrical objects. According to Proclus, all mathematical propositions were called "theorems" by Speusippus and Amphinomus and "problems" by Menaechmus and the mathematicians of his school. The origin and the reasons of this remarkable debate appear obscure especially because of the lack of additional information in Proclus' commentary. My purpose is to throw light on this controversy in Plato's Academy taking into consideration a large range of views on contents and particularly methods of early ancient mathematics. In this way I attempt to contextualize the question of the status of mathematical propositions in the wider development of an axiomatic and deductive model for the systematic organization of geometrical and arithmetical contents. Consequently the alternative positions, held respectively by Speusippus and Amphinomus and by the school of Menaechmus, appear to constitute a defence of different but not conflicting stages in the mathematical work, namely the phase of the discovery and the phase of demonstration. On the one hand, Speusippus and Amphinomus support the new deductive structure of mathematical propositions, according to which theorems are derived not by proven principles. On the other hand, the school of Menaechmus aims to preserve the heuristic function of problems, whose contribution is preliminary to an axiomatic and formal exposition of discovered contents.

Keywords: problems, theorems, Academy, Proclus, Euclid.

 

1. Le definizioni di "problema" e "teorema" nella riflessione di Proclo sulla matematica classica

Nella seconda parte del Prologo al Commento al I libro degli "Elementi" di Euclide,1 Proclo, dopo aver enunciato i requisiti propri dei principi della geometria, descrive le caratteristiche delle proposizioni che conseguono ai principi, distinguendole in "problemi" e "teoremi". I due termini si riferiscono ad oggetti che caratterizzano momenti differenti del lavoro matematico. Essi ricorrono frequentemente nella stesura del commento di Proclo, le cui indicazioni contribuiscono a precisarne i significati.

I problemi "comprendono la costruzione delle figure, le sezioni, sottrazioni o aggiunte operate su di esse, e in generale le vicende a cui vanno soggette".2 "Nei problemi ci proponiamo di procurare e costruire qualcosa" allo scopo di giungere ad ammettere le cose cercate mediante la costruzione.3 Chiamiamo problemi le proposizioni tramite le quali ci si propone di "procurare, portare alla luce e costruire ciò che ancora non esiste". Infine "i problemi ci chiedono di escogitare formazioni di figure, e posizioni, e applicazioni, e inscrizioni e circoscrizioni, e sovrapposizioni, e contatti e quant'altre cose del genere".4

I teoremi "dimostrano le proprietà inerenti per se stesse ad ogni figura".5 "Nei teoremi ci proponiamo di vedere e conoscere le conseguenze delle premesse", in quanto essi sono una forma di "conoscenza dimostrata".6 Definiamo teoremi le proposizioni mediante cui "si stabilisce di vedere riconoscere e dimostrare ciò che si verifica o no". "I teoremi si sforzano di afferrare le proprietà e gli attributi inerenti per se stessi agli oggetti della geometria e di avvincerli mediante le dimostrazioni", cioè attraverso i principi logici.7

Problemi e teoremi identificano ambiti concettuali distinti, rispettivamente la produzione e la teoria, tra loro però interrelati. Proclo, assieme alle definizioni generali delle due espressioni, riporta alcune notizie che documentano un ampio dibattito, avvenuto nell'Accademia platonica, incentrato sullo statuto delle proposizioni geometriche. Nel ricostruire la questione Proclo delinea schematicamente due tesi che a prima vista appaiono scarsamente compatibili.

Da una parte Speusippo ed Anfinomo ritenevano che tutte le proposizioni della geometria dovessero chiamarsi teoremi, dal momento che esse vertono su cose eterne, delle quali non c'è generazione. I problemi al contrario riguardano la produzione di ciò che non esisteva prima, come la costruzione del triangolo equilatero o la descrizione di un quadrato su una retta data o l'apposizione di una retta a partire da un punto dato. Conseguentemente i problemi sono poco adatti a trattare cose che esistono da sempre.

Dall'altra Menecmo e i matematici aderenti alla sua scuola sostenevano che tutte le proposizioni della geometria dovesero chiamarsi problemi, attribuendo ad essi sia il compito di costruire ciò che è cercato sia, una volta assunta la cosa cercata come definita, di indagare che cosa è o di che qualità è o quali proprietà possiede o ancora in quali relazioni si trova con altri oggetti.

Proclo, considerando valide alcune argomentazioni espresse dagli uni e dagli altri, opera un mediazione tra le due tesi, includendo problemi e teoremi nel novero delle proposizioni della geometria. Come sostenevano gli scolari di Menecmo, la scoperta dei teoremi non può prescindere dalla materia intellegibile, la quale assume una determinata forma geometrica (triangolo, quadrato, cerchio, ecc.) mediante ragionamenti finalizzati alla produzione. I teoremi pertanto sono resi noti a partire dalla costruzione delle figure e dalle operazioni ad essa affini come sezioni, posizioni, applicazioni, aggiunte e sottrazioni. I problemi partecipano così alla teoria, poiché la geometria è una scienza teoretica, a differenza della meccanica che è una scienza esclusivamente produttiva.

 

2. "Problemi" e "teoremi" negli "Elementi" di Euclide

Le definizioni generali di problema e di teorema proposte da Proclo sono formulate in modo coerente ad una geometria assiomatica e deduttiva, che si sviluppa a partire da principi primi, evidenti e non dimostrati. Il modello di scienza che Proclo ha presente è quello esemplificato dagli Elementi di Euclide. All'interno della sistemazione euclidea si succedono problemi e teoremi, i quali, pur essendo ben distinti nei procedimenti ed irriducibili tra loro, si presentano saldamente connessi ed organicamente inseriti nella catena complessiva delle deduzioni.

In accordo con la testimonianza di Proclo, la nozione di problema è opposta a quella di teorema: tra le due sussiste un rapporto di alternanza, attestato anche dal fatto che la definizione dell'una è enunciata in antitesi a quella dell'altra. La relazione tra problema e teorema costituisce lo schema al cui interno si articolano le proposizioni degli Elementi e ricalca la duplicità dell'attività geometrica, la quale consiste nella "soluzione di problemi" e nella "dimostrazione di teoremi".8

La proposizione 1 del libro I degli Elementi Euclide propone di "costruire sulla retta limitata data un triangolo equilatero".9 Dall'enunciato è chiaro che si tratta di un problema. La proposizione è costituita da un dato e da un cercato: il dato è rappresentato dalla retta limitata, la cui esistenza è garantita dalle definizioni; il cercato è costituito dal modo in cui si può generare un triangolo equilatero a partire dalla retta data. Seguono poi l'esposizione, "sia la retta limitata data AB", che si riferisce al dato, e il diorismo, "si deve pertanto costruire sulla retta AB un triangolo equilatero", che ribadisce la cosa cercata.10 Subito dopo si trova la costruzione, la quale si avvale del postulato 1, che garantisce la possibilità di "condurre una linea retta da ogni punto a ogni punto", e del postulato 3, che permette di descrivere un cerchio con ogni centro ed ogni distanza. La dimostrazione verifica che si sia costruito sulla retta AB un triangolo equilatero, impiegando la nozione comune 1, "gli uguali allo stesso sono anche uguali tra loro". Infine viene espressa la conclusione generale: "il triangolo ABΓ è quindi equilatero, e risulta costruito sulla retta limitata data AB". A prescindere dalla lunghezza della retta data, la costruzione risulterà sempre provata dalla dimostrazione. Euclide aggiunge l'espressione "il che si doveva fare" (), posta solitamente a conclusione di ogni problema. In riferimento ai teoremi l'Alessandrino preferisce la formula "il che si doveva dimostrare" (). Come osserva opportunamente Proclo, "la prima [espressione] rende nota l'esecuzione di una cosa, l'altra la scoperta e la prova di una cosa che c'è".11

Il problema esaminato da un lato è posteriore ai principi, dal momento che il ricorso ad essi rende possibili la costruzione e la dimostrazione, dall'altro possiede una priorità logica rispetto alle proposizioni successive. Il primo problema si pone così come l'elemento costitutivo di altre proposizioni: la 2, "porre sul punto dato una retta uguale alla retta data", anch'essa un problema, è dimostrata mediante la 1, la quale interviene anche nella 9, nella 10 e nella 11. A sua volta la costruzione della proposizione 3, "di due rette disuguali date, sottrarre dalla maggiore una retta uguale alla minore", è resa possibile dall'applicazione della 2.

La proposizione 4 è il primo teorema degli Elementi:

qualora due triangoli abbiano i due lati rispettivamente uguali a[i] due lati, e abbiano anche l'angolo, quello compreso dalle rette uguali, uguale all'angolo, avranno anche la base uguale alla base, e il triangolo sarà uguale al triangolo, e i restanti angoli, sotto cui si tendono i lati uguali, saranno rispettivamente uguali ai restanti angoli.

Il teorema enunciato è il più semplice ed il più elementare dell'opera euclidea, in quanto il ricorso a tre nozioni prime è sufficiente per conseguirne la dimostrazione. Le tre proposizioni ad esso precedenti sono problemi: la prima tratta della costruzione di un triangolo equilatero, la seconda e la terza si propongono di trovare una retta uguale ad un'altra. Su questi elementi si fonda il teorema corrispondente alla proposizione 4 e ad essi è riconducibile. L'enunciato riguarda una proprietà che caratterizza i triangoli aventi due lati e l'angolo compreso uguali. I dati assunti nell'enunciazione del teorema sono stati "costruiti" nei precedenti problemi.

A partire sia dall'uguaglianza di due lati di un triangolo rispettivamente a due lati di un altro triangolo sia dall'uguaglianza degli angoli compresi fra i lati uguali, si cercano l'uguaglianza della base dell'uno alla base dell'altro, l'uguaglianza del primo triangolo al secondo e l'uguaglianza degli angoli restanti dell'uno ai rispettivi angoli restanti dell'altro, opposti ai lati uguali. La dimostrazione è condotta avvalendosi del movimento implicato dall'operazione di sovrapposizione dei triangoli: coincidendo i vertici e i lati rispettivi dei triangoli, necessariamente coincideranno anche le basi. Dal momento che "i sovrapponentisi tra loro sono uguali tra loro",12 le basi, coincidendo tra loro, saranno uguali. Così i due triangoli e gli angoli rimanenti dell'uno e dell'altro saranno uguali per la medesima ragione.

I problemi e i teoremi sono formati dalle stessi parti: l'enunciato, l'esposizione, il diorismo, la costruzione, la dimostrazione e la conclusione. Tra queste sono essenziali, e quindi presenti in tutte le trattazioni, l'enunciato, che esprime ciò che è dato e che cosa è cercato, la dimostrazione, che deduce rigorosamente l'oggetto della ricerca attraverso passaggi logici intermedi a partire da proposizioni ammesse o già provate, la conclusione, che, riprendendo l'enunciato, conferma ciò che si è dimostrato. Le altre parti possono essere introdotte o tralasciate a secondo della loro specifica utilità rispetto al caso in esame. La costruzione in particolare, come annota Proclo, "aggiunge ciò che manca al dato per poter scoprire la cosa cercata".13 Essa di conseguenza non si trova nella maggior parte dei teoremi, in quanto l'esposizione è sufficiente a dimostrare, a partire dai dati, la deduzione della cosa proposta.14 Per converso emerge il carattere peculiare della costruzione nella soluzione di problemi, i quali richiedono la generazione e la produzione di figure.

 

3. Le nozioni di "problema" e "teorema"

La distinzione delle proposizioni in problemi e teoremi risulta essere assolutamente in sintonia con l'impianto deduttivo generale degli Elementi.15 L'adozione coerente dei due concetti è però una acquisizione raggiunta gradualmente nel pensiero geometrico. La discussione, documentata da Proclo intorno alla qualità epistemica delle proposizioni della geometria, cioè se esse siano tutte problemi o tutte teoremi, attesta un livello cognitivo delle nozioni matematiche anteriore alla sistemazione euclidea, livello nel quale la contrapposizione tra problemi e teoremi potrebbe alludere a concezioni alternative del lavoro geometrico.

La polemica sulla natura delle proposizioni matematiche, pur avendo il suo punto focale nello spazio dell'Accademia, appare tutt'altro che marginale o storicamente poco influente sullo sviluppo della geometria. In particolare Proclo non si limita a tornare più volte, nel corso del suo Commento al I libro degli "Elementi" di Euclide, sulla distinzione tra problemi e teoremi, precisandone le definizioni, ma fa riferimento anche alle posizioni assunte da studiosi di geometria non strettamente legati agli ambienti scientifici dell'Accademia.

Zenodoto fu un matematico contemporaneo ad Enopide di Chio, vissuto intorno alla metà del v secolo, al quale successe nella direzione della sua scuola.16 Egli, assieme ai suoi allievi, distingueva il teorema dal problema in quanto il primo "ricerca qual è l'accidente che è predicato della materia che in esso si tratta", mentre il secondo "ricerca a quale condizione una cosa esiste".17

Posidonio di Apamea definiva "il teorema come una proposizione, con la quale si cerca se una cosa è o non è, e il problema come una proposizione con la quale si cerca che cosa è e di che specie è". La proposizione teoretica deve essere espressa in forma dichiarativa, come "ogni triangolo ha la somma di due lati maggiore del rimanente" o ancora "gli angoli alla base del triangolo isoscele sono uguali". La proposizione problematica al contrario deve avere la forma di un quesito, come per esempio "se è possibile su questa retta costruire un triangolo". Indagare se si può condurre una perpendicolare da un punto ad una retta data ed esaminare in che cosa consiste la perpendicolare sono operazioni che appartengono ad ambiti separati, i quali richiedono di essere differenziati anche sul piano linguistico.18

Carpo il meccanico nel suo Trattato di astronomia, non più in nostro possesso, sosteneva che i problemi precedono i teoremi, perché "mediante i problemi si scoprono i soggetti dei quali si cercano le proprietà". L'enunciato del problema è semplice, in quanto richiede di eseguire una data operazione, come la costruzione di un triangolo equilatero. L'enunciato di un teorema è invece "laborioso e richiede molta esattezza e acume scientifico", affinché non sia privo di verità. Al fine di risolvere tutti i problemi è stato escogitato un metodo, avente ampia applicazione, che consiste nell'analisi. La trattazione dei teoremi è invece più complessa a causa della mancanza di un procedimento generale per la loro scoperta.

Carpo condivideva la scelta, adottata da Euclide nell'ordinare gli elementi, di preporre i problemi ai teoremi, seguendo un ordine assoluto di priorità. Subito dopo aver citato il testo di Carpo, Proclo, riferendo l'opinione di Gemino, precisa che i teoremi superano i problemi in dignità, poiché la geometria passa dal trattare le cose più affini alle arti produttive a quelle che hanno maggiore attinenza con la scienza teoretica. Le due posizioni, benché sembrino delineare ordini diversi, non sono in contrasto, perché Carpo faceva precedere i problemi da un punto di vista gnoseologico, mentre Gemino anteponeva i teoremi "per il [loro] valore più perfetto" e quindi secondo un punto di vista ontologico.19

 

4. Il contesto del dibattito tra i matematici dell'Accademia

Le testimonianze riportate forniscono un'idea sia dell'ampiezza e della considerazione che fu riservata alla questione relativa alla distinzione tra problemi e teoremi sia della presumibile risonanza che ebbe nel tempo il dibattito interno all'Accademia. Non sono infatti senza significato i ripetuti tentativi volti a precisare le definizioni dei due termini, anche successivamente alla sistemazione degli Elementi da parte di Euclide. Per poter fare luce sulle ragioni, non immediatamente comprensibili, che hanno condotto alla discussione ed al diversificarsi delle posizioni nell'Accademia a proposito dello statuto delle proposizioni matematiche, occorre riesaminare la ricostruzione di Proclo, arricchendo le scarne informazioni in essa contenute con notizie attinenti ai protagonisti della contesa.

Speusippo fu nipote di Platone e suo successore alla direzione dell'Accademia. Secondo Proclo Speusippo sosteneva che l'intelligenza pone, senza darne spiegazione, alcune cose che possiedono maggiore chiarezza e le predispone per la ricerca di altre cose più difficilmente intuibili, ma raggiungibili per gradi attraverso ciò che consegue dalle prime.20 La descrizione si adatta perfettamente alla distinzione, fatta da Euclide e teorizzata da Aristotele negli Analitici secondi, tra una parte anapodittica della scienza, che comprende i principi primi, e una parte apodittica, costituita dalle proposizione che derivano dai suddetti principi.

Anfinomo si occupò di problemi, distinguendoli in linea generale in "ordinati", se posti in un solo modo, "medi", se posti in un limitato numero di modi, ed "inordinati", se posti in un'infinita varietà di modi. Un problema ordinato è ad esempio la costruzione del triangolo equilatero, la quale si effettua in un solo modo, a differenza delle costruzioni dei triangoli isoscele e scaleno, che sono appunto problemi medi.21 Anfinomo viene citato da Proclo assieme a Menecmo: entrambi avrebbero svolto ricerche sulla convertibilità dei teoremi ed avrebbero insegnato le condizioni in cui non è possibile applicare tale strategia logica.22

Menecmo, vissuto nel IV secolo a.C., fu allievo di Eudosso. Egli, assieme a suo fratello Dinostrato e ad Amicla di Eraclea, parente di Platone, contribuì a perfezionare la geometria nel suo complesso. Contemporanei a Menecmo furono Theudio di Magnesia, che compose un libro di Elementi "in modo eccellente", rendendo più generali alcune questioni particolari, ed Ateneo di Cizico, celebre nelle scienze matematiche ed in modo speciale nella geometria. Tutti gli studiosi menzionati collaboravano nell'Accademia, conducendo in comune le loro ricerche.23 Menecmo si occupò del problema della duplicazione del cubo, fornendone la soluzione mediante l'uso di sezioni coniche. Probabilmente come risultato collaterale di tali indagini, egli scoprì alcune curve che successivamente furono note come ellisse, parabola ed iperbole.

Nonostante il chiaro resoconto procliano e le informazioni a nostra disposizione, appaiono ancora oscuri i motivi che nel iv secolo condussero a sostenute tesi divergenti in relazione alle proposizioni della geometria. Il contrasto tra problemi e teoremi non sembra riducibile ad una semplice questione terminologica. Non è infatti senza significato constatare che il dibattito si inserisce in una fase assai prolifica dal punto di vista dei contenuti matematici e soprattutto particolarmente significativa per quanto riguarda gli sviluppi metodologici. La questione merita un adeguato approfondimento, correndo anche il rischio di avventurarsi in una indagine che si muove in un orizzonte piuttosto speculativo a causa della carenza di informazioni a disposizione.

La contestualizzazione della diatriba sullo statuto delle proposizioni geometriche nel più ampio processo di definizione di un livello cognitivo emergente, rappresentato dalla conoscenza dimostrativa, potrebbe contribuire ad ripensamento complessivo della questione su nuove basi. Le argomentazioni che ispirarono il dibattito riflettono verosimilmente diverse impostazioni della geometria e dei procedimenti ad essa inerenti. Respingendo l'idea di concezioni parallele della matematica, che si contenderebbero uno specifico primato epistemologico, si può ipotizzare la presenza di alcune resistenze alla formazione graduale di un nuovo ordine, identificabile con il modello assiomatico e deduttivo della dimostrazione. Le origini e le ragioni della polemica sulla distinzione tra problemi e teoremi apparirebbero così riconducibili ad un più profondo momento di transizione che caratterizzò la geometria nello spazio dell'Accademia.

 

5. La struttura problematica della matematica pre-euclidea

La sporadicità dei frammenti di testi di matematica e la relativa attendibilità delle testimonianze dei commentatori rendono piuttosto arduo ogni tentativo di ricostruzione della geometria nel periodo antecedente alla stesura degli Elementi. Se da una parte Euclide ha avuto il merito di raccogliere e riorganizzare i risultati raggiunti nelle indagini condotte dai suoi predecessori, dall'altra la riscrittura dei problemi e dei teoremi ha irrimediabilmente cancellato la formulazione originaria delle proposizioni matematiche. Sono state tuttavia tramandate alcune testimonianze del lavoro geometrico, risalenti a grandi linee alla prima fase dello sviluppo della matematica, che permettono di intuire l'impostazione e l'approccio adottati dagli studiosi nell'affrontare contenuti che successivamente hanno largamente trovato spazio negli Elementi.

La geometria, nelle sue origini greche, appare finalizzata alla soluzione di problemi dettati dall'esperienza quotidiana. Talete ad esempio giunse ad intuire alcune proprietà mediante l'applicazione di metodi empirici. La sua principale preoccupazione non era dimostrare teoremi, ma risolvere problemi come il calcolo dell'altezza delle piramidi24 e la misurazione della distanza delle navi nel mare.25 Allo stesso modo Enopide di Chio affrontò alcuni problemi, come la costruzione di una perpendicolare26 e di un angolo rettilineo,27 mosso dall'utilità che ne derivava per le sue ricerche di astronomia. Nel v secolo il campo di azione della geometria si estendeva pertanto da problemi che richiedono la costruzione di semplici entità fino a problemi di trasformabilità di una figura in un'altra, ossia di mutamenti di configurazione, come la quadratura del cerchio e la duplicazione del cubo, che, secondo la testimonianza di Aristofane,28 godevano di una certa popolarità.

Punto di partenza per una sintetica rassegna delle testimonianze sulla matematica pre-euclidea è un ampio passo, riportato da Simplicio, della Storia della Geometria di Eudemo che ripropone la quadratura delle lunule svolta da Ippocrate di Chio, un matematico operante intorno al 430 a.C. Il problema consiste appunto nel quadrare la lunula, cioè la figura piana delimitata da due archi di circonferenza aventi raggio di misura diversa. Ippocrate considera quattro casi in cui si può scomporre il problema e risolve ciascuno di essi mediante il ricorso alla proposizione "segmenti circolari simili stanno tra loro come i quadrati delle loro basi", la quale è in via preliminare dimostrata mediante la proposizione "i quadrati dei diametri stanno fra loro come i loro cerchi".29 Nella soluzione del quesito intervengono inoltre ulteriori nozioni, presupposte note, come il teorema di Pitagora, la teoria delle proporzioni, la possibilità di costruire segmenti circolari simili.

Proclo riporta la notizia secondo la quale Ippocrate fu il primo ad operare la riduzione di problemi geometrici difficili mediante un procedimento denominato apagoghé (), che consiste nel "passaggio da un problema o teorema ad un altro, per mezzo del quale, sia esso già noto o sia stato risolto, anche quello proposto risulterà evidente".30 Lo Pseudo-Eratostene, nella Epistola a Tolomeo, sostiene che Ippocrate pensò di risolvere il problema classico della duplicazione del cubo riconducendolo alla ricerca, tra due rette date, di due medie proporzionali in proporzione continua.31 La quadratura della lunula potrebbe pertanto costituire un tentativo di ridurre la più complessa quadratura del cerchio ad un problema più semplice che ne avrebbe facilitato la soluzione.

Un altro frammento sulla matematica antica è stato tramandato da Eutocio, il quale, sulla scorta del racconto di Eudemo, attribuisce ad Archita una sofisticata costruzione tridimensionale, con cui si esibisce l'intersezione in un punto di tre superfici di rivoluzione, allo scopo di reperire due medie proporzionali in proporzione continua tra due linee rette.32 Archita proponeva così una soluzione al problema della duplicazione del cubo. Egli si avvaleva dell'intuizione di Ippocrate, il quale aveva ricondotto il problema della duplicazione del cubo alla ricerca di due medie proporzionali da inserire tra due segmenti dati. La duplicazione del cubo era, insieme alla quadratura del cerchio ed alla trisezione dell'angolo, uno dei più famosi problemi della matematica greca classica e non caso numerose soluzioni furono proposte da eminenti matematici dell'antichità.

Sempre nel tentativo di risolvere il problema dell'individuazione di due medie proporzionali tra due linee rette, Menecmo scoprì le sezioni coniche e ne fornì un'applicazione in geometria. Egli evidenziò per primo che la parabola, l'iperbole e l'ellisse sono generate dall'intersezione tra un cono ed un piano non parallelo alla base del cono stesso.33

Si può supporre che Menecmo abbia affrontato lo studio e la definizione delle proprietà delle tre sezioni coniche, la cui denominazione fu però stabilita in epoca posteriore. L'ipotesi trova riscontro sia in un epigramma di Eratostene, nel quale si invita a non cercare di tagliare il cono nelle triadi di Menecmo,34 sia nella menzione dell'ellisse in un problema pseudoaristotelico, che conferma la notorietà della curva presso gli studiosi accademici.35 Menecmo descrisse verosimilmente ciascuna sezione secondo il procedimento riportato da Eutocio sulla base del racconto di Gemino: un piano perpendicolare all'apotema di un cono genera una parabola se taglia un cono rettangolo, un'iperbole se taglia un cono ottusangolo e un'ellisse se taglia un cono acutangolo.36

Pappo attribuisce a Dinostrato, fratello di Menecmo, il merito di aver adoperato una linea denominata quadratrice, precedentemente scoperta da Ippia, per risolvere il problema della quadratura del cerchio.37 Lasserre ha avanzato un'ipotesi che, pur facendo i conti con le carenze documentarie, risulta coerente con le notizie tramandate: Ippia e Dinostrato avrebbero costruito due differenti curve, le quali condividono esclusivamente la funzione di quadrare il cerchio e conseguentemente la denominazione di "quadratrice".38 Alla trattazione svolta da Dinostrato corrisponderebbe il resoconto tramandato da Pappo, il quale aggiunge anche alcune osservazioni di Sporo in merito alla descrizione della curva ed alla sua applicazione nella soluzione del problema.

Le ricerche metodologiche dell'Accademia furono incentrate sulla definizione e sull'applicazione di espedienti euristici, elaborati prevalentemente per affrontare, mediante semplificazione, problemi, la cui soluzione conduceva spesso alla scoperta di nuovi teoremi. In particolare è possibile individuare due approcci tipici della geometria accademica: il diorismo () e l'analisi ().

Il primo procedimento, associato da Proclo al nome di Leone, mira a determinare la condizione di possibilità nella risoluzione di un problema, vale a dire quando un problema è possibile e quando è impossibile.39 Leone ebbe probabilmente il merito di codificare con chiarezza i passaggi di un metodo già sperimentato dai matematici, dal momento che appare evidente la più antica matrice pitagorica di alcune specifiche trattazioni classificabili come diorismi. Un esempio di tale procedimento è riportato in un passo a carattere matematico, contenuto nel Menone, nel quale l'iscrizione di una superficie, trasformata in un triangolo, in un cerchio dato è subordinata al realizzarsi di una determinata condizione.40

Il procedimento per analisi consiste, secondo la descrizione di Proclo, nel ricondurre l'oggetto della ricerca ad un principio generalmente riconosciuto come vero. Il metodo sarebbe stato trasmesso da Platone a Leodamante di Taso, il quale lo applicò con successo nella soluzione di molti problemi, incrementando notevolmente le conoscenze geometriche.41

La ricerca dei diorismi e l'analisi dei problemi presentano una strutturale connessione e denotano come l'ampliamento delle conoscenze matematiche nell'Accademia fosse accompagnato da una crescente attenzione ai rapporti tra le proposizioni, la quale conduceva al progressivo riconoscimento di un ordine sistematico. Lo studio delle condizioni di reciprocità e di conversione tra i teoremi, presente negli interessi di Menecmo42 e di Anfinomo,43 presupponeva la consapevolezza di un costitutivo collegamento tra le singole parti dell'edificio matematico.44

L'esigenza di codificare per iscritto le relazioni di antecedenza e conseguenza tra i teoremi ed i problemi trovò attuazione nella stesura di primi libri di Elementi da parte di Leone e di Theudio di Magnesia, i quali, secondo le parole di Proclo, raggrupparono un numero notevole di teoremi, generalizzarono contenuti particolari e fornirono rigorose dimostrazioni scientifiche, probabilmente rifacendosi a quanto era stato precedentemente messo a punto allo stesso scopo da Ippocrate di Chio.45

I tentativi di catalogazione delle proprietà geometriche si inscrivono nella più ampia revisione dello statuto epistemologico delle proposizioni matematiche. La stessa nozione di "elemento" fu oggetto di un lavoro di disambiguazione, realizzato da Menecmo, che condusse alla distinzione di un duplice significato del termine: da una parte elemento indica una proposizione che interviene nella dimostrazione di un'altra proposizione; dall'altra esso designa la parte più semplice ed originaria da cui scaturisce una catena di proposizioni, proprio come nella relazione che si instaura tra postulati e teoremi.46 Se nel primo caso il vocabolo elemento è usato in riferimento ad un numero limitato di proposizioni, legate tra loro secondo una specifica priorità, nel secondo caso esso si carica di una valenza fondazionale e si pone come punto di partenza di un sistema generale.

 

6. La distinzione tra problemi e teoremi nel contesto dell'assiomatizzazione matematica

L'attenzione degli studiosi di geometria nel v e nella prima metà del iv secolo era in primo luogo volta a rintracciare connessioni tra le proposizioni geometriche, la cui intuizione si rivelava indispensabile nella soluzione dei problemi. Euclide stesso mirò essenzialmente a sistematizzare i teoremi noti e a perfezionare i risultati raggiunti dai suoi predecessori, sostituendo dimostrazioni inconfutabili alle prove poco rigorose che erano state fornite.47

Proclo, commentando la proposizione 15 del libro I degli Elementi, "Se due rette si tagliano fra loro, esse fanno gli angoli al vertice uguali fra loro", e riportando Eudemo come fonte, afferma che il teorema fu trovato per la prima volta da Talete e fu ritenuto degno di dimostrazione scientifica da parte di Euclide.48 Il lavoro dell'Alessandrino consistette nel raccogliere le proprietà scoperte, nel formularne l'enunciato in modo scientifico, nel collocarle in un ordine preciso e soprattutto nel fornirne una dimostrazione rigorosa.

Lo scarno resoconto di Proclo a proposito del dibattito nell'Accademia sulle proposizioni matematiche non permette di chiarire con precisione in che modo la polemica si saldasse con la svolta assiomatica e deduttiva che negli stessi luoghi cominciava a prendere forma. Si potrebbe immaginare che proprio la riflessione sul modello dimostrativo abbia inevitabilmente condotto ad un confronto teorico sulla struttura ontologica degli enti matematici, sollevando la questione dell'ammissibilità nel regno dell'essere anche dei procedimenti di costruzione delle figure, strettamente legati alle nozioni di movimento e divenire. Ancora, e forse più attendibilmente, si potrebbe supporre che a causare la diatriba sia stato il tentativo di salvaguardare la specificità dell'indagine matematica.

Se il concetto di teorema, cioè di una proposizione che enuncia una o più proprietà degli enti geometrici, ha un valore semantico piuttosto uniforme e assume la sua centralità in una struttura assiomatizzata e deduttiva, la nozione di problema comprende differenti significati, ciascuno dei quali prevale in riferimento ad un contesto specifico. Nelle ricerche dei matematici, durante il V e la prima metà del IV secolo, il problema assolve una funzione essenzialmente euristica, che consiste nell'indagare l'esistenza e le proprietà delle figure a partire dalla loro costruzione. La finalità principale dei quesiti è quindi la scoperta di proposizioni geometriche.

Negli Elementi però i problemi hanno una funzione prevalentemente costruttiva, in quanto producono gli enti geometrici, le cui proprietà saranno esposte e dimostrate mediante i teoremi: "Euclide mescola ai problemi i teoremi e ai teoremi intreccia i problemi, e mediante gli uni e gli altri compone il trattato elementare, ora procurandosi i soggetti, ora osservandone le proprietà".49 Il problema è inserito in una catena deduttiva, che non lascia spazio all'errore o anche al semplice tentativo. Esso è collocato in una precisa posizione allo scopo di assolvere un determinato ruolo, in sintonia con le proposizioni antecedenti e successive.

Conformemente ad una concezione assiomatica Proclo sostiene che in matematica si definisce propriamente problema "una proposizione che mira ad una operazione teoretica", la cui esecuzione è indirizzata alla conoscenza di entità geometriche, mediante costruzione. Sempre Proclo però osserva che "spesso si chiamano problemi delle cose insolubili", anche se questa denominazione è più pertinente per ciò che è possibile e non è né pleonastico, cioè non sovrabbonda di dati superflui, né incompleto o indeterminato, in quanto non manca dei dati necessari alla soluzione.50

È interessante notare che negli Elementi non si trovano problemi insolubili o insoluti, poiché proposizioni appartenenti a questa tipologia risulterebbero contraddittorie rispetto al piano dell'opera che esclude l'ambito della ricerca. Il problema, saldandosi in un organismo rigido, perde la sua naturale capacità di discutere ed esaminare diversi casi, possibili o impossibili, dal momento che l'edificio geometrico è organizzato secondo precisi criteri e non può ammettere sviamenti rispetto all'ordine unidirezionale e necessario che lo caratterizza.

Negli Elementi il problema perde la sua componente euristica a favore della componente costruttiva ed esistenziale, l'unica utile ad Euclide per la fondazione degli enti geometrici, di cui si accinge ad esporne le proprietà. La costruzione dei problemi negli Elementi è sempre seguita da una dimostrazione, la quale fornisce certezza e universalità alle proposizioni e garantisce la veridicità di quanto emerso a proposito della figura. L'istituzione di un nesso tra l'enunciato e la dimostrazione, sia nei problemi sia nei teoremi, comporta l'esclusione di ciò che non può essere provato e non ammette pertanto la considerazione dei problemi insolubili.

La difesa, condotta da Menecmo, della denominazione di "problema" in riferimento alle proposizioni della geometria rappresentava probabilmente il tentativo di ribadire e preservare la funzione euristica dei problemi, che rischiava di diventare secondaria in uno sviluppo deduttivo della geometria, le cui priorità sono l'ordine e la dimostrazione.51 Nella ricerca concreta ha senso introdurre ed avvalersi di un'ampia gamma di problemi, in quanto l'indagine non ha un andamento regolare ed uno sviluppo omogeneo, ma è costituita da un insieme di prove e tentativi che molto spesso non conducono ad esiti positivi e costringono lo studioso ad una revisione e ad una continua riproposizione della questione di partenza, di cui si esplorano di volta in volta le possibili soluzioni.

Speusippo al contrario considerava la nozione di teorema più idonea a definire gli oggetti della geometria. Egli riteneva la struttura assiomatica e deduttiva più conforme allo stato delle cose, le quali derivano da pochi principi, al cui vertice si trovano l'Uno e la Diade, e si sviluppano in una sorta di processione, facendo discendere la molteplicità dall'unità e ad essa riconducendola. L'assiomatica si presentava pertanto in piena coerenza con l'impianto della metafisica di Speusippo.

Proclo riferisce che "coloro che distinguono il problema dal teorema" affermano che ogni problema ammette sia un predicato inerente all'oggetto della ricerca sia il suo opposto, mentre ogni teorema ammette solo il predicato inerente all'oggetto e non il suo opposto. Con oggetto della ricerca si intende un ente geometrico, per esempio il triangolo, il quadrato, il cerchio, ecc. Con predicato si intende un accidente, per esempio l'uguaglianza, la sezione, la posizione, ecc. Così l'inscrizione nel cerchio di un triangolo equilatero è un problema, in quanto è possibile inscrivere anche un triangolo non equilatero. Costruire su una retta data terminata un triangolo equilatero è allo stesso modo un problema, in quanto è possibile tracciare anche un triangolo non equilatero.

Al contrario l'enunciato "gli angoli alla base di un triangolo isoscele sono uguali" è un teorema, perché non è possibile che gli angoli alla base di un triangolo isoscele non siano uguali. L'inscrizione di un angolo retto in un semicerchio è un teorema, poiché ogni angolo inscritto in un semicerchio è retto. In definitiva i teoremi sono proposizioni nelle quali il predicato ha valore generale ed interessa l'intero oggetto della ricerca, mentre i problemi sono proposizioni in cui il predicato non ha valore generale, perché non riguarda in modo assoluto l'oggetto, proprio come accade nella divisione di una retta o di un angolo retto in due parti uguali oppure nella costruzione di un quadrato a partire da una retta data.52

Nella fase della dimostrazione lo schema illustrato da Proclo assume però solo un valore teorico e potenziale: sulla base del carattere generale o particolare del predicato è sempre possibile distinguere i teoremi dai problemi, ma l'enunciato del problema assume un determinato predicato rispetto all'oggetto, senza successivamente verificare e dimostrare anche il predicato opposto. Una simile operazione, pur rimanendo sempre possibile, non trova mai attuazione. Euclide si limita a costruire su una retta terminata data un triangolo equilatero,53 tralasciando la costruzione di un triangolo isoscele o scaleno. Il problema assume dunque in un impianto assiomatico una forma rigida, che ne cancella la flessibilità e la versatilità costitutive.

La deduzione, pur avendo il pregio di porre ordine, a partire da pochi elementi, nella vasta ed eterogenea materia geometrica, modifica la struttura del problema, privilegiando la sua funzione costruttiva a discapito di quella investigativa. La posizione di Menecmo potrebbe dunque essere motivata dalla preoccupazione di vedere marginalizzate le potenzialità euristiche del problema. La difesa del problema corrisponde probabilmente al tentativo di tutelare la fase della ricerca matematica nella sua ricchezza metodologica, dal momento che essa rischiava di essere ridimensionata dall'affermazione del modello deduttivo in qualità di unico procedimento formale riconosciuto dalla comunità scientifica.

Nonostante la crescente attenzione verso il metodo assiomatico, quale garanzia dell'incontrovertibilità delle proposizioni matematiche, la funzione euristica del problema resta comunque centrale nella matematica. È significativa in questo senso la testimonianza di Archimede, il quale sostiene che Eudosso fornì la dimostrazione di due teoremi, i cui enunciati erano stati formulati, senza darne la dimostrazione, da Democrito. Il primo teorema riguarda l'equivalenza del volume di un cono ad un terzo del volume di un cilindro avente la stessa base e la stessa altezza e il secondo l'equivalenza del volume di una piramide ad un terzo del volume di un prisma avente la stessa base e la stessa altezza. Democrito riuscì ad intuire tali proprietà ricorrendo ad un metodo meccanico, che, essendo estraneo ai procedimenti rigorosi della dimostrazione matematica, aveva una validità esclusivamente limitata alla ricerca.54 Fornendo soluzione ai problemi si giungono a scoprire nuove proprietà degli enti della geometria, le quali, mediante dimostrazione scientifica, sono legittimate a far parte delle conoscenze matematiche e possono ricevere una collocazione nel patrimonio di nozioni della disciplina.

Il modello assiomatico, pur ponendosi su un piano differente dai metodi per la ricerca, ingloba la nozione di problema, riadattandola alla sua peculiare finalità organizzativa ed esplicativa dei risultati precedentemente reperiti attraverso una pluralità di procedimenti informali. La costruzione euclidea di fatto non annulla l'indagine matematica, la quale si pone sempre come momento preliminare alla rigorosa verifica degli enunciati.

Gli Elementi di Euclide contribuirono in maniera decisiva alla precisazione delle fasi del lavoro matematico, poiché al momento della ricerca si aggiungeva come naturale completamento il momento della sistemazione rigorosa. La formazione del procedimento deduttivo comportò inevitabilmente l'arricchimento dei significati della nozione di problema, nella quale si venivano così a sedimentare un valore euristico ed un valore esistenziale. La prevalenza di uno dei due aspetti corrispondeva ad un'opzione per la ricerca o per la dimostrazione.

Le posizioni di Menecmo da una parte e di Speusippo dall'altra possono essere attendibilmente ricondotte rispettivamente alla difesa del momento della ricerca ed al privilegio del momento della dimostrazione. In realtà ricerca e dimostrazione si collocano su piani differenti, che in modo complementare caratterizzano il lavoro matematico. L'equivoco scaturito dal considerare ciascuna fase come se fosse esaustiva del lavoro matematico nel suo complesso alimentò probabilmente il dibattito nel ripensamento generale della nozione stessa di conoscenza scientifica. Il sapere cominciava a non identificarsi più semplicemente con la semplice scoperta ed accumulazione di teoremi, ma a questa dimensione, riconosciuta come propedeutica, si associava l'esigenza di una sistemazione generale secondo criteri esplicativi condivisi.

Il dibattito sulla distinzione tra problemi e teoremi si colloca nel momento di formazione di un nuovo paradigma scientifico. La principale preoccupazione di Menecmo era così rivolta a preservare la dimensione euristica della matematica, la quale dal suo punto di vista rischiava di essere obliata dall'affermazione della dimostrazione. La posizione di Speusippo era invece mirata a riconoscere al sistema assiomatico un valore universale, attestato anche dalla stringente analogia con l'impianto generale della sua metafisica. Menecmo verosimilmente non si opponeva all'affermazione del modello assiomatico, ma al rischio di misconoscere la funzione euristica del problema, la cui ricchezza ed utilità emergevano con chiarezza sul piano della ricerca e si rivelavano imprescindibili per l'avanzamento della matematica anche ai fini di una sempre più completa organizzazione rigorosa dei suoi contenuti.55

 

Notas

1 Procl. in Eucl. 77-78 (ed. G. Friedlein, T 1873).

2 Procl. in Eucl. 77. Le versioni in italiano inserite nel presente contributo sono tratte da Proclo, Commento al I libro degli "Elementi" di Euclide, a cura di M. Timpanaro Cardini, Pisa, Giardini editori e stampatori, 1978.         [ Links ]

3 Procl. in Eucl. 179.

4 Procl. in Eucl. 201.

5 Procl. in Eucl. 77.

6 Procl. in Eucl. 179.

7 Procl. in Eucl. 201.

8 Sulla struttura degli Elementi di Euclide cf. Euclide, Tutte le opere, a cura di F. Acerbi, Milano, Bompiani, 2007, pp. 177-437;         [ Links ] B. Artmann, "Euclid's Elements and Its Prehistory", Apeiron, XXIV (1991), pp. 1-47;         [ Links ] M. Caveing, Introduction générale, in B. Vitrac (éd.), Euclide D'Alexandrie. Les Eléments, Paris, Presses Universitaires de France, 1990, pp. 13-148;         [ Links ] Th. L. Heath (ed.), The thirteen books of Euclid's Elements, vol. 1, Cambridge, Dover Publ., 1956, pp. 1-151;         [ Links ] F. Marcacci, Alle origini dell'assiomatica: gli Eleati, Aristotele, Euclide, Roma, Aracne, 2008, pp. 243-285;         [ Links ] I. Mueller, Philosophy of Mathematics and Deductive Structure in Euclid's "Elements", Cambridge (Massachusetts), The MIT Press, 1981;         [ Links ] A. Szabó, Die Entfaltung der griechischen Mathematik, Mannheim-Leipzig-Wien-Zurich, Wissenschaftsverlag, 1994, pp. 307-384.         [ Links ]

10 Nel lessico della matematica greca il termine possiede due significati. Da una parte indica una riaffermazione o, più precisamente, una specificazione, in riferimento a particolari data come linee o figure, di ciò che viene chiesto nell'enunciato di un problema o di un teorema (Procl. in Eucl. 205 e 208). Dall'altra il vocabolo identifica il procedimento di determinazione delle condizioni di possibilità di un problema, in altre parole quando un problema è possibile e quando è impossibile (Procl. in Eucl. 67 e 202). Quest'ultimo significato risulta più comune nel vocabolario scientifico greco.

11 Procl. in Eucl. 210.

12 Eucl. El. I, nozione comune 7.

13 Procl. in Eucl. 203.

14 Procl. in Eucl. 204.

15 Sulla formazione del metodo deduttivo nella matematica greca cf. G. Cambiano, "Il metodo ipotetico e le origini della sistemazione euclidea della geometria", Rivista di Filosofia, LVIII (1967), pp. 115-149;         [ Links ] F. Marcacci, Alle origini dell'assiomatica: gli Eleati, Aristotele, Euclide, cit., 2008; I. Mueller, "Greek Mathematics to the Time of Euclid", in M. L. Gill-P. Pellegrin (eds.), A Companion to Ancient Philosophy, Oxford-Boston, Blackwell Publishing, 2006, pp. 686-718;         [ Links ] R. Netz, The Shaping of Deduction in Greek Mathematics, Cambridge, Cambridge University Press, 1999;         [ Links ] P. Tarantino, "Sviluppi recenti nella storia dell'assiomatica greca", Arkete, V (2008), pp. 60-73.         [ Links ]

16 Per un approfondimento della figura di Enopide di Chio si rimanda a I. Bodnàr, "Oenopidès de Chios", in R. Goulet (éd.), Dictionnaire des philosophes antiques, IV, Paris, CNRS Editions, 2005, pp. 761-767.         [ Links ]

17 Procl. in Eucl. 80.

18 Procl. in Eucl. 80-81.

19 Procl. in Eucl. 241-243.

20 Procl. in Eucl. 179.

21 Procl. in Eucl. 200.

22 Procl. in Eucl. 254. Sulla figura di Anfinomo e sul suo contributo allo sviluppo della matematica cf. De Léodamas de Thasos à Philippe d'Oponte. Témoignages et fragments, edition, traduction et commentaire par F. Lasserre, Napoli, Bibliopolis, 1987, pp. 149-152, 359-362, 583-589.         [ Links ]

23 Procl. in Eucl. 67.

24 DK 11 A 21.

25 Procl. in Eucl. 352.

26 Procl. in Eucl. 283.

27 Procl. in Eucl. 333.

28 Aristoph. Av. 1005.

29 Pitagorici, Testimonianze e frammenti, a cura di M. Timpanaro Cardini, 2 voll., Firenze, La Nuova Italia, 1962, pp. 49-54.         [ Links ]

30 Procl. in Eucl. 213.

31 Eutoc. In Archim. IIP 88, 17 Heib. = DK 42 A 4.

32 Eutoc. in Archim. sphaer. et cyl. IIP 84 = DK 47 A 14; Eratosth. Epigramma di dedica sul problema di Delo per il raddoppiamento del cubo [Eutoc. in Archim. sphaer. et cyl. IIP 112, 19] = DK 47 A 15.

33 (10 Schm.) [Eratosthenes] Epist. ad Ptolom. ap. Eutoc. Comm. in Archimed. p. 88 Heiberg = Lasserre 1987, 12 D 1b; 1f.

34 Lasserre 1987, 12 D 1.

35 Aristot. Pr. 012a13.

36 Lasserre 1987, 12 D 2b.

37 Lasserre 1987, 13 D 1.

38 Lasserre 1987, pp. 561-565.

39 Procl. in Eucl. 202 = Lasserre 1987, 6 D 1c.

40 Plat. Men. 87a-b.

41 Procl. in Eucl. 211 = Lasserre 1987, 2 D 1c.

42 Procl. in Eucl. 253-254 = Lasserre 1987, 12 D 7.

43 Procl. in Eucl. 253-254 = Lasserre 1987, 18 D 4.

44 Tra i numerosi studi sull'analisi nella matematica greca sono stati tenuti presenti soprattutto i seguenti, cui si rimanda per un approfondimento della questione: Euclide, Tutte le opere, a cura di F. Acerbi, cit., 2007, pp. 439-519; N. Gulley, "Greek Geometrical Analysis", Phronesis, XXXIII (1958), pp. 1-14;         [ Links ] Th. L. Heath (ed.), The thirteen books of Euclid's Elements, vol. 1, Cambridge, Dover Publ., 1956, pp. 137-142;         [ Links ] J. Hintikka-U. Remes, The Method of Analysis. Its Geometrical Origin and Its General Significance, Dordrecht-Boston, D. Reidel Publishing Company, 1974;         [ Links ] W. R. Knorr, The Ancient Tradition of Geometric Problems, Boston-Basel-Stuttgart, Birkhauser, 1986, pp. 15-99, 339-381;         [ Links ] S. Menn, "Plato and the Method of Analysis", Phronesis, XLVII (2002), pp. 193-223;         [ Links ] M. Schmitz, Euklids Geometrie und ihre mathematiktheoretische Grundlegung in der neuplatonischen Philosophie des Proklos, Wurzburg, Konigshausen & Neumann, 1997, pp. 108-126.         [ Links ]

45 Procl. in Eucl. 66 = Lasserre 1987, 6 F 1; Procl. in Eucl. 67 = Lasserre 1987, 14 T 1; Procl. in Eucl. 67 = Lasserre 1987, 14 F 2a; Lasserre 1987, 14 F 2b.

46 Procl. in Eucl. 72-73 = Lasserre 1987, 12 D 6.

47 Procl. in Eucl. 68.

48 Procl. in Eucl. 299.

49 Procl. in Eucl. 271.

50 Procl. in Eucl. 221-222.

51 Sulla funzione euristica dei problemi nella matematica antica cf. W. R. Knorr, The Ancient Tradition of Geometrie Problems, Boston-Basel-Stuttgart, Birkhauser, 1986.         [ Links ]

52 Procl. in Eucl. 79-80.

53 Eucl. El. I 1.

54 Archim. De sphaer. et cyl. I prooem. p. 4 Heiberg = Die Fragmente de Eudoxos von Knidos, herausgegeben, ubersetzt und kommentiert von F. Lasserre, Berlin, W. de Gruyter & Co., 1966 (abbr.         [ Links ] Lasserre 1966) D 61b, D 62b; Archim. Ad Eratosth. prooem. p. 430 = Lasserre 1966, D 61c.

55 Desidero ringraziare i proff. Luigi Borzacchini, Antonietta D'Alessandro e Livio Rossetti per i preziosi suggerimenti che mi hanno fornito nella fase di revisione del presente contributo.

 

Información sobre el autor

Piero Tarantino es doctor en Historia de la Ciencia por la Universidad de Barí, Italia; actualmente labora en el Departamento de Filosofía de la Universidad de Bari; se especializa en historia de la filosofía antigua, particularmente sobre Platón y Aristóteles, y en historia de la ciencia antigua, en especial sobre las matemáticas.

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